Ragazzi tra fragilità e speranze, la mia esperienza al Liceo Sirleto

Lettera aperta di Alessia Squillace insegnante dell'istituto 

Più informazioni su


    Quando non si è più giovani si tende a pensare alla gioventù come ad un qualcosa di troppo distante e di difficile da comprendere. Il confronto finisce sempre con l’annichilirsi dietro a forme espressive come “ai miei tempi non si faceva così”. L’ardua sfida appare ancor più impervia ai giorni d’oggi, nei confronti di una gioventù filtrata dai social e illuminata dalle luci artificiali degli smartphone. I ragazzi ci appaiono spesso come individui anestetizzati e insensibili, incapaci di promuovere un pensiero critico, difettosi a prescindere e assolutamente impossibilitati a raggiungere un livello di consapevolezza che i “non più giovani” possano ritenere sufficiente per stimolare il dialogo. I ragazzi, dal canto loro, si ritrovano ed essere sempre più soli, incompresi da un mondo adulto che declassifica e minimizza costantemente qualsiasi loro azione. I ragazzi esperiscono questa condizione in qualsiasi momento della giornata, hanno frapposto tra loro e il mondo uno schermo tecnologico dietro al quale nascondersi, imparando a scoprire l’affettività solo mediante questi canali. Gli adolescenti vivono sempre più un contesto familiare caratterizzato da tempi rateizzati e scandito dai ritmi di una quotidianità che accelera sempre di più.

    La solitudine è diventata probabilmente l’amica più intima che hanno, visto che anche il dispiegarsi delle loro amicizie e dei loro legami si comunica per mezzo di una tastiera. I giovani hanno dovuto imparare a cavarsela da soli, a trovare le risposte alle loro domande attraverso internet, instaurando con tutti i media un legame speciale, capace di sopperire alle mancanze, all’ assenza di una genuina affettività. Lentamente hanno finito con l’essere soli anche tra loro, perché quando trascorrono del tempo insieme lo fanno sempre con un telefonino in mano. E si finisce con l’osservarli ad un tavolo, l’uno accanto all’altro, mentre non si scambiano una parola e non si guardano nemmeno in faccia. I ragazzi, contrariamente a ciò che si pensa, sono alla ricerca continua di relazioni, sono affamati di emozioni che non riuscendo a vivere direttamente, cercano di assimilare per vie traverse. Ecco perché alcuni programmi televisivi hanno un gran successo, perché l’esperienza che si svolge nello schermo è ciò che i giovani vorrebbero vivere direttamente se avessero gli strumenti adeguati per farlo. Famiglia, scuola e società appaiono sempre più disarticolate, monadi isolate incapaci di cooperare per tentare di mantenere una linea comune di azione. Le nuove generazioni nuotano in mare aperto, sfiorando tutte queste realtà senza però percepire nessuna di esse come un luogo sicuro in cui approdare.

    Gli insegnanti, alla luce anche delle spiacevoli notizie che pervengono dal mondo della scuola, spesso vivono la loro missione come uno stato d’assedio e non comprendono che le classi non sono un campo di battaglia, ma una ricca e preziosa sorgente di relazioni umane. La mia esperienza di insegnante è una conferma costante di quanto appena asserito. La mia esperienza lavorativa è iniziata al “Liceo Ginnasio Card. G. Sirleto” di Catanzaro, circa tre anni fa. Nonostante la mia giovane età, il mio approccio iniziale non è stato svincolato da pregiudizi. Non dimenticherò mai i pensieri che hanno attanagliato la mia mente prima di entrare in classe. Mi chiedevo come avrei potuto comunicare con persone incapaci di ascoltare. Niente di più sbagliato! Il giorno in cui ho conosciuto i miei alunni è stato uno dei più belli della mia vita e tutt’ora benedico ogni ora trascorsa insieme a loro. L’ambiente scolastico che ho trovato, di chiara ispirazione cristiana, si è rivelato da subito un ambiente di tipo familiare capace di creare legami autentici. Le classi, volutamente composte da un numero contenuto di alunni di ogni estrazione sociale, mi ha consentito non solo di avviare con loro delle strategie didattiche mirate, ma soprattutto di poter scoprire quale grande risorsa sia l’originale individualità di ognuno di loro. Nel giro di pochi giorni “quei ragazzi” sono diventati i “miei alunni”, persone cariche di risorse che mi fanno tornare a casa tutti i giorni con una valigia d’esperienza sempre più carica. Questa piccola comunità è diventata parte integrante della mia vita, insegnandomi che i giovani si trasformano spesso negli adulti che noi facciamo loro vedere. Un ambiente tutelato e moralmente stabile, come quello del Liceo Sirleto, crea sicuramente un adulto più consapevole e rispettoso dell’esistenza. Ecco perché la promozione del persona è un elemento imprescindibile e l’incipit di ogni processo educativo attuato. Gli adolescenti conquistano degli strumenti adeguati per diventare adulti solo nella misura in cui li si lascia essere protagonisti attivi non solo della loro vita, ma anche del contesto sociale di riferimento, piccolo o grande che sia. Per far ciò è importante che si crei una cooperazione sinergica tra tutti gli ambienti che ruotano intorno ai ragazzi, in modo da realizzare una continuità stabile capace di “supportare” e non si “sopportare” i giovani. Solo l’ insegnante che crede nelle potenzialità del discente può aiutare lo stesso a diventare un adulto capace di promuovere l’esistenza, solo il docente che cerca il buono nei giovani potrà ottenere da loro cose positive. In tutto questo è necessaria la partecipazione delle famiglie che, in ultima istanza, rimane il cuore pulsante di tutta la società.

    L’esperienza pratica nel campo dell’ istruzione mi ha insegnato che solo stabilendo un saldo legame orizzontale tra famiglia e scuola è possibile aiutare i giovani a crescere. La crisi della famiglia, tipica dei nostri giorni, alimenta le fragilità dei giovani facendoli sentire spesso inadeguati. Nonostante la scuola non debba trasformarsi in un surrogato di famiglia, essa ha comunque il dovere di accogliere tali fragilità e di supportarle nel migliore dei modi. Ecco perché ritengo non solo che insegnare sia impossibile senza una vocazione di fondo, ma soprattutto, che si facciano troppi danni se questa missione non parte dal cuore. La sfida consiste nel continuare a rimanere adulti senza dimenticarsi di essere stati giovani, nel comunicare dietro ad una cattedra senza rendere la stessa una linea di trincea. In questi anni ho scoperto che la meglio gioventù non è quella che si è appena consumata, ma quella che ancora deve venire. Questo inesauribile dialogo tra generazioni si appella alla coscienza di ognuno di noi, al di là dei vincoli imposti dal tempo. L’armonia a cui tende è corale e il suono che produce è quello che celebra l’essenza dell’umanità: la vita.

    Alessia Squillace-insegnante Liceo Sirleto

    Più informazioni su