L’INTERVENTO Quanti paesi dentro Catanzaro? A quando la nuova città?

Franco Cimino riflette sul provincialismo delle beghe di quartiere, la disputa tra 'marinoti e catanzaresi' , sulle scelte della politica che le hanno determinate e su un'idea ancora viva: 'Catanzaro magnogreca e pretiana, il mio sogno, ancora in vita. Nonostante ancora la si saccheggi'

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    di Franco Cimino

     E fu d’un tratto che Anna Veraldi, con stupore di donna e sensibilità di poeta, recandosi al mare della Città e trovando l’insegna stradale con la scritta Catanzaro Lido, si scandalizzò che essa potesse in qualche modo segnare una differenza con il resto del territorio comunale. E si preoccupò che tutto questo potesse indicare, a chi venisse da fuori, una Catanzaro divisa in più parti, fossero anche i tradizionali quartieri, che ne cancellassero l’unità. Unità necessaria e funzionale alla forza che la stessa, parimenti alle altre realtà urbane d’Italia, deve avere per non restare indietro nei processi di sviluppo economico e di crescita civile. Proposta, la sua, di cambiare cartellonistica con una indicante, ovunque, magari solo la scritta “ benvenuti a Catanzaro”. Una casetta da poco, simpatica pure, venendo da una gentile signora lontana dai giochi e dalle beghe politiche di cui si infiamma pure in una estate caldissima, la nostra realtà. Sembrava una cosetta simpatica! Invece, non lo è stata.

    E non per un problema politico e culturale che avrebbe potuto (forse, involontariamente) portare alla opportuna riflessione di tutti su cosa sia bene per Catanzaro. Non lo è stata per avere, di certo involontariamente, scatenato la vecchia disputa tra “ marinoti e catanzaresi” , per nulla superata nel corso dei decenni. La colpa evidentemente è di tutta intera una classe dirigente, politica e sociale, che non ha mai lavorato per unire il territorio cittadino facendo nascere spontaneamente una catanzaresità nuova. Uno spirito della Città, in cui albergasse amore per il suo tutto. E quel senso di responsabilità, che lo facesse diventare ricchezza vera. Quella per tutti, un bene da trasferire in ogni sua bellezza alle nuove generazioni. Ché questo, soltanto questo, è compito di chi amministra la cosa pubblica.

     Che la nuova Catanzaro, quella dei due dopoguerra, sia nata da spezzoni di territorio distanti e divisi, e da culture autoctone che ne segnarono la differenza, e da quell’unica comunanza, direi antropologica, che ne rafforzarono la reciproca diffidenza, da tempo avrebbe dovuto essere cosa nota. Non lo è stata, purtroppo, per il permanere proprio di un sospetto divenuto, in alcuni territori, indifferenza e ,in altri, competizione di tipo quasi “ bellico”.

    Eppure, sarebbe bastato, che si lasciasse coltivare quel moto spontaneo dell’animo dei cittadini, in particolare della Città storica, quella “ vecchia”, borghese e aristocratica se si vuole, che sin dagli anni cinquanta( per non dire dei primi del novecento) ha visto la zona marina come quella del suo mare (area, pertanto, del turismo) e quella, in alto, alle sue spalle, verso la Sila, come area del riposo, del recupero di forze e dell’aria fresca e salubre, tanto da trasferirvi molta della popolazione nei periodi più caldi dell’estate.

    La Città bella, unica, potenzialmente ricca, inimitabile, è nata idealmente il quel tempo, prima del suo stesso affacciarsi alla modernità. Questa era quella dei modelli urbani degli anni sessanta-settanta, che, per ricostruire i luoghi dalle macerie della guerra e creare occupazione e sviluppo, utilizzarono intensamente l’edilizia, la più indifferente e cinica. Altrove, questo sistema, che già in sé rappresentava un pericolo, fu utilizzato in qualche modo, pur se fortemente contraddittorio (la nascita di quelle brutte periferie dequalificanti), per unire le separatezze e rompere le vecchie solitudini dei piccoli spazi. Ovvero, per costruire un tessuto urbano (anche questo tra gravi contraddizioni e fasi di degrado ben noti) che variamente edificasse la Città nuova, unica, tesa a inventare, da piccole culture altre, una cultura unificante che fosse riconoscibile come la propria. Catanzaro, per colpa delle sue classi dirigenti, tutte, fino alle ultime, prive di cultura della Città e dominate da interessi e logiche speculative, ha fatto esattamente il contrario. Ha costruito sulle vallate e i dirupi, sui costoni e sulle rocce, su quanto di vergine ci fosse verso il mare, per seconde case che neppure furono abitate per la scelta di privilegiare il mare degli altri, da Stalettì e Soverato, e i monti della Presila (quelli di Catanzaro quali estensione in altezza delle proprie colline) irresponsabilmente cementificati fino alla rovina.

    Fu così che la spontanea idea di una bella Catanzaro, città del monti e del mare, si ruppe tra i disegni dei progetti di un’edilizia “ maledetta” poiché priva di una cultura politica che desse anima e progettualità all’urbanistica. L’urbanistica, la felice invenzione della scienza del territorio creata apposta per la salvaguardia e valorizzazione dei beni ambientali, e con il fine di custodire la bellezza e la ricchezza di una terra, la nostra, davvero preziosa, nonostante la sua dichiarata fragilità. L’attualità invece ci mostra una Città sfinita, saccheggiata in ogni lembo, derubata del suo verde e delle magnifiche viste sul mare e sulle colline, soffocata da obbligate strade strette, pericolose per la vita dei luoghi e delle persone e da un traffico che scoraggia l’acceso al mare e la passeggiata su un lungomare che potrebbe diventare il più bello tra i più belli. Una Città avvilita dalla crescente povertà di quasi tutti i catanzaresi nella più avvilente contrapposizione alla crescente ricchezza di pochissime persone, che di fatto costituiscono un potere agente su ogni attività inerente alle prospettive di quel che resta del capoluogo di regione.

    Una Città occupata da una politica che ha perso la concezione di sé e che, nella perdita progressiva di cultura e senso delle istituzioni, scatena i più bassi impulsi nella lotta per il più piccolo dei poteri e delle più modeste aspirazioni personali. Una lotta, nella sua mediocre conduzione, che si è estesa ad altri livelli rappresentativi, anche in ambito sociale e delle professioni.

    La Città, la nostra, la poco amata, dove tutti sono contro tutti, rischia, per “colpa”di una “cartellonista” stradale, di tornare alle vecchie dispute di campanile e alle vecchie separatezze culturali, tante nocive per la tenuta del tessuto cittadino e tanto utili a quanti mancano, e pur governano, di cultura del territorio e visione della nuova Catanzaro. Questa, potrà nascerà se la Politica saprà valorizzare proprio le singole identità dei suoi luoghi storici, giammai annullandoli.

    Se saprà cioè fare di Marina, Santa Maria, Siano, Sala, Gagliano, Pontepiccolo, Pontegrande, Piterà e Sant’Elia, gli elementi di una ricca diversità. I soli che, valorizzati nelle proprie specificità, potranno far nascere l’identità piena, riassuntiva e unificante di Catanzaro, città del mare e dei monti. Quella che io da anni ho in testa, andrebbe da Borgia-Squillace fino a Taverna. Quella che da Marina può collegarsi, da Reggio a Sibari, ai luoghi dell’antica Grecia, a sinistra verso la piana di Lamezia, in linea orizzontale verso la Metropolitana per Germaneto e, a salire, verso il Reventino e, più a destra, verso la piccola Sila. Catanzaro magnogreca e pretiana, il mio sogno, ancora in vita. Nonostante ancora la si saccheggi. 

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