Dori Ghezzi all’Umg, ‘Lui, io, noi’: più ritratti di Faber

Il libro presentato questa mattina dalla cantante e vedova di De Andrè scritto con Giordano Meacci e Francesca Serafini I VIDEO DELLA MATTINATA ALL'UMG


L’ennesimo libro su Fabrizio De André? No. “Lui, io, noi” scritto dalla moglie Dori Ghezzi, insieme a Giordano Meacci e Francesca Serafini, presentato questa mattina all’Università Magna Graecia di Catanzaro nel corso di un incontro organizzato dalla libreria Ubik dalle due autrici, va oltre tutto ciò che è stato pubblicato finora. Quello che emerge, così come chiaramente illustrato nel corso dell’incontro, non è un ritratto del cantautore genovese, ma più ritratti, più aspetti, riportati da chi lo conosceva, dagli incontri che aveva fatto, da chi viveva al suo fianco. Con la consapevolezza di non poterne mai tracciare un profilo definitivo.

«Mi è stato chiesto di scrivere questo libro da tempo – ha detto Ghezzi, interpellata dal moderatore dell’incontro, Marcello Barillà -, il senso della vita è però se insieme agli altri, e quindi cosa hanno significato tutte le persone che abbiamo incrociato per crescere e arrivare a ciò che abbiamo imparato». «Credo che ci siamo riusciti e che anche lui sia soddisfatto di questo azzardo che, credetemi, non è facile. La fondazione è nata proprio per questo: non mi sentivo all’altezza di prendere decisioni su di lui, ho voluto con me le persone che lo affiancavano». E ancora sul libro, presente con lei, oggi, Francesca Serafini: «Lo volevo così – ha sostenuto -. Mi sono rifiutata di fare qualcosa che non fosse all’altezza di Fabrizio. Forse è poco accademico, e chi lo conosceva sa che era una persona molto giocosa».

«Il vero Fabrizio chissà qual è», ha ammesso Dori Ghezzi prendendo spunto per parlare anche del loro rapporto. «Non ho mai voluto indagare all’interno del suo carattere. C’era fra noi un compromesso che arrivava fino a un certo punto: ognuno di noi era libero, non era costretto dall’altro. Anche lo stesso matrimonio, che arrivò dopo 15 anni di convivenza, non era stata una costrizione: ci eravamo arrivati senza neanche accorgercene. Avevamo addirittura dimenticato le fedi, quel giorno, e anche il sindaco non ce le ricordò, così ne abbiamo sempre fatto a meno. Non cambiava nulla per noi, eravamo già marito e moglie». «Il nostro – ha aggiunto – era un rapporto di mutuo soccorso: amare non è conoscersi fino in fondo, è vivere vite parallele, non mettere il becco nella vita dell’altro, ve lo consiglio. Se non avete qualcosa di personale da non dire all’altro, inventatevelo. Vi assicuro che serve tanto».

E sul suo abbandono delle scene, nel 1990, ci ha tenuto a dire: «Ho smesso di cantare non perché era un suo desiderio, anzi. Lui avrebbe preferito che io continuassi. Così come il trasferimento in Sardegna, non sono stata costretta, ma ci sono andata volentieri, consapevole di quello cui stavo andando incontro».

Proprio su quegli anni, tra gli interventi di Tullio Barni e Michele Figliuzzi, e dopo i saluti del rettore Giovambattista De Sarro, Dori Ghezzi non si è risparmiata con gli aneddoti. «Fabrizio decise di fare il contadino, ma sul serio, come sempre quando decideva di fare qualcosa – ha raccontato -. Non riusciva però a conciliare la sua vita con quegli orari, quelli dei contadini. Lavorava fino a notte tarda, non poteva alzarsi all’alba»; e allora fu la vita del contadino a conciliarsi a De André: «Avevamo un gallo che non cantava prima di mezzogiorno o l’una. Lo chiamammo Vasco». Ha raccontato anche della notte trascorsa da Faber tra la paglia, insieme a Napoleone, il loro toro limuosine, una razza molto pregiata che non c’era in Sardegna, nel corso del trasferimento in Gallura da Casalpusterlengo. Alcuni esempi, veri e propri stralci del libro, per il numeroso pubblico che ha affollato questa mattina la sala Giovanni Paolo II, li ha riportati l’attrice Daniela Vitale, accompagnata alla chitarra da Antonio Samà: a lei  sono andati i più forti ringraziamenti da parte di Ghezzi: «Mi emoziona ulteriormente – ha ammesso -. Vi confermo che il libro è tutto questo». Ci sono i piccoli momenti privati, in “Lui, io, noi”, ma che non possono essere tenuti lontani dal Fabrizio De André pubblico, quello di tutti: «Se non stava lavorando su qualcosa che stava facendo, aveva tremila hobby, non lasciava mai niente in superficie, era un persona generosa anche nel condividere le sue passioni. Le avrebbe convissute con ognuno di voi, c’ero io e lo faceva con me. Amava ascoltare gli altri. Era così. Ho cercato di raccontare questo tipo di vita insieme, l’importanza degli incontri».

Alla fine dell’incontro di questa mattina – troppo breve, tanti sono i racconti -, rimane l’unicità di Fabrizio De André, che va al di là delle opere che ha scritto, perché «ha avuto questa capacità, non da tutti, di farsi capire come persona, come amico. Ci ha accompagnati chi più chi meno nella nostra vita, e lo fa ancora anche con i giovani. E’ abbastanza impressionante – ha ammesso Dori Ghezzi -, lui non se lo sarebbe mai aspettato. Era fiducioso nella gente, nel futuro, nel prossimo. Ha sempre pensato che c’è un riscatto: per la Fondazione ho scelto una sua frase, “e poi a un tratto l’amore scoppiò dappertutto”. Ci sperava. Questo era Fabrizio».

Carmen Loiacono