L’ANALISI Per salvare il convento del Monte ci vuole un Fra Cristoforo

Il giornalista Romano Pitaro: 'Si dirà: averlo un fra Cristoforo tra i cappuccini del Monte dei morti disposto a duellare con i superiori! Ma a me pare che ci sia. Ha carattere, esperienza di vita e cultura (ha firmato decine di saggi). Penso a padre Giuseppe Sinopoli'. Ecco chi è 

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    di Romano Pitaro*

    Il manzoniano don Rodrigo era un signorotto che viveva nel crimine e commissionava nefandezze. Chi lo va a trovare nella sua “piccola fortezza squadrata su un’altura, a circa tre miglia dal paese e a quattro dal convento di Pescarenico” per distoglierlo dai suoi infausti propositi su Renzo e Lucia? Un cappuccino: fra Cristoforo, che trattiene lo spirito guerriero e l’antico orgoglio nobiliare di cui è intriso per farsi profeta disarmato. Quando si pensa alla prepotenza, ad ogni iniziativa ingiusta o di sopraffazione dei deboli, la mente va a quei due celebri personaggi che, a un certo punto, s’affrontano in una discussione tutt’altro che conciliante. Col frate che, dopo aver abbozzato ogni provocazione (don Rodrigo gli suggerisce di affidare Lucia alla sua protezione), “piantandogli in faccia due occhi infuocati”, sbotta: “i n quanto a voi, sentite bene quel ch’io vi prometto. Verrà un giorno…”

    Bene. E che cos’è se non un torto ai danni di un’intera città la scelta del padre generale dei frati minimi di chiudere il convento di Catanzaro, portando chissà dove l’imponente patrimonio librario e artistico lì custodito, e sferrando, di conseguenza, un (altro) colpo al cuore all’identità culturale del già avvilito capoluogo della Calabria? Dalle molte reazioni che si sono avute fin qui, si evince che la città considera quella decisione alla stregua di un’ingiustizia e una prepotenza. Condivisibile l’appello ad agire in difesa dei cappuccini del Monte rivolto dall’avv. Marcello Furriolo al capo della Chiesa locale mons. Domenico Bertolone fra l’altro presidente della Cec, nonché al drappello d’autorità politiche municipali e regionali, ma piacerebbe anche vedere esplodere, dall’interno del convento di Catanzaro, un qualche impulso d’ira nei confronti di chi vorrebbe cancellarlo. Trovo che una siffatta reazione (se venisse e aggiungendosi alle altre) coinciderebbe con quella che Furriolo definisce “un’azione credibile, significativa e mirata, per impedire che si compia uno sfregio mortale alla città”.

    Certo, si dirà: averlo un fra Cristoforo tra i cappuccini della Chiesa del Monte dei morti disposto a duellare con i superiori! Ma a me pare che ci sia. Ha carattere, esperienza di vita e cultura (ha firmato decine di saggi). Penso a padre Giuseppe Sinopoli, che a Reggio Calabria, dov’è stato per tanti anni guardiano del convento e parroco della Basilica della Madonna della Consolazione prima di giungere a Catanzaro, ha tenuto alto il prestigio dei cappuccini sempre accanto agli strati più umili e bisognosi del popolo reggino.

    L’ho conosciuto conversando con lui, nel corso dell’ultima edizione del Salone Internazionale del Libro (“Il Gioco del mondo”), quando è stato presentato il suo ultimo volume (“La riforma cappuccina in Calabria nel 5oomo anniversario”) con cui ha segnalato l’importanza della spiritualità dei monaci cappuccini a Reggio e in Calabria. Il libro, che mi risulti mai presentato a Catanzaro e forse in questa circostanza sarebbe utile rimediare, teorizza che i monaci calabresi furono i primi ad abbracciare il carisma cappuccino in Italia.

    Non per rivendicare primogeniture, ma per richiamare l’attenzione dell’intellighenzia cattolica e laica del Belpaese a quell’humus ricco di esperienze spirituali (eremiti bizantini, Nilo di Rossano, Gioacchino da Fiore e Francesco da Paola) in cui è sbocciata la riforma cappuccina. In quella babele del libro di Torino, ho avuto nette due impressioni, ascoltando la tesi del libro, controcorrente persino all’interno della gerarchia cappuccina e per cui non alle Marche (com’è opinione comune), “ma il carisma cappuccino è un patrimonio spirituale che appartiene alla Calabria”.

    La prima impressione è che il volume rifugga da ogni stucchevole conformismo; mai genuflesso su idee precostituite,appare invece originale e a tratti intrepido. La seconda è che l’uomo, pur non avendo la lunga barba bianca del frate più famoso, sia incline a difendere gli argomenti di cui è convinto con un’oratoria forbita e diretta. Non dubito che potrebbe incontrare il suo “generale” e indurlo a desistere, oppure (alla fra Cristoforo) accommiatarsi con un liberatorio: ” in quanto a voi, sentite bene quel ch’io vi prometto. Verrà un giorno…”

    *Giornalista

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