Flavio Insinna a Catanzaro: inizio col botto stagione Ama Calabria

La ricreazione dell'attore romano ha coinvolto il pubblico dando vita ad una improvvisazione unica


La felicità è piccante (con due facce), cresce lentamente sotto le stelle, con un po’ di pitta, fino all’ultimo respiro”. A tratti surreale, ma densa di significato, questa frase è la risultante dello spettacolo “La macchina della felicità” con protagonista Flavio Insinna che ha aperto la nuova stagione a cura di Ama Calabria al Teatro Comunale di Catanzaro. Un vero e proprio inizio col botto, quello di ieri sera: dopo i positivi riscontri della passata stagione – una trasferta obbligata per la lametina Ama -, quest’anno, ripristinata la consueta sede del Teatro Grandinetti a Nicastro, si è deciso di confermare anche il “ramo” catanzarese, con due diversi cartelloni, che condividono in realtà qualche spettacolo. 

La macchina della felicità”, con sottotitolo “Ricreazione”, ha così salutato il pubblico catanzarese con la versione teatrale dell’ultimo libro di Flavio Insinna. A differenza del testo, un romanzo, lo spettacolo ha sì affrontato le stesse tematiche, ma si è giocato la carta più succulenta, la partecipazione del pubblico, coinvolto di continuo nel corso della serata. Ecco, la particolarità de La macchina della felicità è proprio in questo:  con il protagonista abilissimo nel gestire i presenti, finanche nell’esuberanza, il pubblico è chiamato a dire la sua sulla felicità, su cosa pensa che sia e su come si raggiunga, fino a maturare un pensiero comune a tutti presenti – ironico, certo -, con un Insinna mattatore a dare qualche dritta qua e là per affrontare le tematiche previste. «Perché la felicità va condivisa – ha detto dal palco del Comunale -, come diceva Ayrton Senna a chi gli chiedeva come mai faceva tanto per la sua gente, “perché non posso vivere su un’isola di ricchezza circondato dalla povertà”».

Così, fra canzoni e balletti, Insinna e i suoi – i musicisti Vincenzo Presta ai sassofoni, Angelo Nigro alle tastiere, Filippo D’Allio alle chitarre, Giuseppe Venezia a basso e contrabbasso, Saverio Petruzzellis a batteria e percussioni e la vocalist Martina Cori con cui ha pure duettato -, hanno parlato di ricchezza, delle piccole cose che possono offrire la felicità quando meno ce la si aspetta, hanno preso in giro certe pubblicità e la ricerca spasmodica dell’eterna giovinezza, demonizzando – ma va? – i social. Hanno anche affrontato, però, argomenti tutt’altro che risibili. Le donne e la loro considerazione nella società,  per esempio: «Dal vedovo ci si aspetta comportamenti diversi che dalla vedova», ha argomentato, parlando anche di parità delle retribuzioni, «o disparità salariale, a Roma la chiamano sòla, è una fregatura»; e ancora della violenza da parte di mariti e fidanzati e di quella parola, femminicidio che «non la sopporto proprio. Non viene uccisa una “femmina”, cos’è una giumenta per caso? Va via una donna, una persona, una storia». 

Soprattutto, va detto, dal palco hanno fatto ridere. E tanto. Con l’impegno categorico che «Non vi mollo. Vi mando via più felici di come siete arrivati», anche lo stesso Insinna ha notato la straordinaria accoglienza e il calore che dalle nostre parti sappiamo riservare: «Non potete sapere che regalo mi fate ridendo, è una carezza al cuore», ha detto; o ancora, stimolato dalla partecipazione divertita dei presenti, qualcuno poi preso splendidamente di mira, ha proposto: «Vi porto tutti ai miei spettacoli, facciamoli insieme, cosi senza copione». 

Ha anche accennato alla sua vita privata, Insinna, ai pettegolezzi, al suo rapporto con il padre e con la madre, e con le donne, pure. L’attore romano non ha poi dimenticato le sue origini, tutt’altro che televisive, e ha parlato di teatro: «Pensate, quando ho iniziato c’erano personaggi come Vittorio Gassman, si faceva teatro per portarsi a letto qualcuno. Oggi si va a letto con qualcuno per farlo, il teatro». E ancora sugli insegnamenti di Gigi Proietti – Insinna esce dalla sua scuola, quella che ha visto nascere tra gli altri anche Enrico Brignano, Massimo Vertmuller, Francesca Reggiani, Gabriele Cirilli  Giorgio Tirabassi e Chiara Noschese -, che era solito dire: «Recitare è un gioco ma non uno scherzo. Bisognerebbe ricordarlo più spesso». Così come bisognerebbe memorizzare la frase scelta per  la chiusura, dedicata a noi, «sgangheratamente diversi e meravigliosamente uguali davanti a Dio e alla giustizia». 

Carmen Loiacono