Le parole e la mente: il neuroscienziato Cerasa al Festival d’Autunno

Ultimo appuntamento della 17° edizione della riuscita rassegna: un viaggio nella mente umana

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    Pochi minuti ma capaci di riassumere, suscitando emozioni, tutto ciò che il Festival d’Autunno ha offerto nel suo cartellone: 18 appuntamenti di grandi concerti, presentazioni di libri, conferenze con assoluta protagonista la parola. E’stato un trailer riassuntivo dei due mesi di programmazione ad aver aperto l’ultimo evento della rassegna, dal titolo “Da dove nascono le parole – La scatola magica” che, nella sala conferenze del Complesso Monumentale “San Giovanni” di Catanzaro, ha visto il neuroscienziato Antonio Cerasa spiegare al pubblico come le parole influiscono sulla nostra vita.

    Cerasa, ricercatore del Cnr, docente all’Università “Magna Graecia” e autore di libri e pubblicazioni scientifiche, ha proposto una lezione dal carattere divulgativo, partendo da una testimonianza: quella di Angelo Massaro, un uomo detenuto ingiustamente in carcere. “Ventun anni di galera per un omicidio che non aveva fatto – ha raccontato il neuroscienziato – passando per tre gradi di giudizio che lo vedevano sempre condannato. Ho avuto il piacere di parlargli e di chiedergli come ha fatto a superare tutto questo, dove ha trovato la forza. Mi ha detto: Mi ripetevo ogni mattina “Io sono innocente” e ascoltavo la voce di mio figlio che mi diceva di tornare a casa”. La forza arrivava quindi dalle parole che “per raggiungere il potere di farci cambiare – ha spiegato – devono passare tre fasi.

    La prima è seminare l’idea e l’idea – ha proseguito – o me la sento sulla mia pelle, la vivo completamente, oppure me la innestano da fuori”. In quest’ultimo caso è necessario stare attenti. “Per esempio – ha spiegato – spesso si prende per buono il detto “Mazze e panelle fanno i figli belli”. Ebbene: questo detto è una follia sociale. Le botte sono un rinforzo negativo valido per l’animale ma in un essere umano, in un bambino – ha aggiunto – diventa un simbolo, una punizione che gli fa credere di non valere niente”. La seconda fase di questo processo è la speranza che si misura biologicamente: “Se la mente ha fecondato l’idea, la speranza è la sua placenta, il suo involucro, che la protegge dagli attacchi provenienti dall’esterno”. Cerasa ha quindi proposto alcune frasi che si richiamano alla speranza: “Io voglio guarire, io voglio rispetto, io voglio essere amato, io non voglio essere solo, io voglio essere libero: cinque motivatori della mia speranza quotidiana – ha affermato – che alimentano le mie idee. Uno dei modi di misurare la speranza biologicamente è nella malattia”. Il neuroscienziato ha citato la ricerca del professore Fabrizio Benedetti che ha dimostrato come la speranza riesca addirittura, in alcuni casi, a bloccare malattie degenerative: “Si tratta certamente non di una cura – ha spiegato – ma di un effetto transitorio.

    E comunque sia comprova quanto è importante nella nostra vita”. Ultima delle fasi prese in considerazione da Cerasa è stata la resilienza che ha definito come quegli stili di abitudini che si mettano in atto per stare bene. “La dimensione più facile – ha affermato – è quella fisica: riposarci, nutrirsi bene e fare del fitness sono delle regole che ci vengono spesso proposte per migliorare il nostro benessere. Camminare molto quando si è assorbiti da mille problemi – ha spiegato – è, ad esempio, un vero toccasana e ci consente di ridurre lo stress. Ma vorrei porre l’accento anche sulla dimensione spirituale. Posso fare resilienza, e quindi usare le parole, o pregando o meditando”. E il neuroscienziato ha introdotto il concetto di terapia della parola, o psicoterapia, portando all’attenzione del pubblico una ricerca di “Science” che evidenzia come i neuroni vengono modellati e, attraverso le parole, si riesce a staccare il legame dall’oggetto fisico. Infine una rivelazione: “Qual è la frase che crea benessere più di tutte le altre? “Io ti perdono”. Alcuni psicologi, in Sierra Nevada e dopo la guerra civile, hanno avviato un programma di riconciliazione tra vittime e carnefici che ha evidenziato come il perdono abbia avuto straordinari benefici, non nel singolo individuo ma nella società. “Vi consiglio – ha detto – di provare questa semplice pratica: chiedete perdono e vedrete come vi sentirete meglio”.

    Infine, la chiusura Cerasa l’ha dedicata alla musica. Proponendo un brano eseguito al pianoforte da Ludovico Einaudi, ha detto: “La parola è importante ma la musica lo è di più”, citando quelle ricerche scientifiche che stanno dimostrando l’influenza positiva della musica sulla nostra mente. Dopo il dibattito, con una serie di interventi da parte dei tanti presenti, ha chiuso l’incontro il direttore artistico del Festival d’Autunno, Antonietta Santacroce, la quale dopo aver ricordato i successi di questa fortunata edizione della rassegna ha dato appuntamento a quella del prossimo anno che sarà quella della “maggiore età”, la numero 18.

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