Affare Commissioni, Guerriero punta il dito contro social e titoli

Uno dei consiglieri non raggiunto da avviso di garanzia si affretta a chiarire l'ambiguità delle parole scritte a caldo ieri in una nota

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    Insieme a Vincenzo Ciconte e al presidente del Consiglio Marco Polimeni, Roberto Guerriero è stato l’unico a non essere stato raggiunto dal provvedimento di conclusione indagini che ieri è stato notificato a 29 consiglieri comunali. 

    Già ieri il candiato con la lista di Maurizio Mottola D’Amato aveva esternato alcune considerazioni tra la solidarietà per i colleghi coinvolti e la reprimenda per come le commissioni sono state gestite con una netta presa di distanza dalle stesse. Oggi, poichè l’intepretazione social non è stata univoca, Guerriero rilancia. 

    “Le parole sono pietre”, scriveva Carlo Levi raccontando della Sicilia arretrata e isolata degli anni Cinquanta. “Le parole possono trasformarsi in pietre, le pietre in pallottole. È già accaduto, l’Italia è stata per quasi vent’anni prigioniera del terrorismo”, osserva il giornalista Giampaolo Pansa. Questo per dire che le parole, per quanto belle e profonde, intense e dirompenti, sono un’arma potentissima quanto nella difesa dei diritti conquistati con il sangue dei padri costituenti, tanto se usate come proiettili verso uomini e donne che hanno costruito la propria identità e credibilità politica con serietà e sacrifici. E di parole sui provvedimenti che sono stati notificati ieri ai colleghi del Consiglio comunale di Catanzaro, ne sono già state dette e lette tante. Molte a sproposito soprattutto sulle piazze virtuali dei social media che, pur non avendo confini, diventano recinti dove raccogliere la superficialità e la prepotenza che alimentate dall’ignoranza diventa, drammaticamente, odio. Gli eventi giudiziari che hanno coinvolto il Consiglio comunale colpiscono tutti: non è un avviso di garanzia a fare da spartiacque tra buoni e cattivi. Nel sistema giudiziario italiano, attenzione quello dei tribunali e non delle gogne mediatiche che hanno ribalta sui social media, non è altro che una informazione finalizzata al diritto alla difesa dell’indagato. Da garantista convinto non posso che ribadirlo, come voglio rimarcare il profondo rispetto e la massima fiducia nei confronti degli Organi inquirenti. Ma, alla luce delle reazioni e delle dichiarazioni confuse e dannose, nonché su fantasiose e strumentali interpretazioni di miei commenti a caldo che circolano in queste ore, mi tocca – mio malgrado – rilanciare alcune riflessioni. Così come esprimo fiducia nell’operato della magistratura, prima ancora esprimo solidarietà e vicinanza ai colleghi coinvolti nell’inchiesta, a tutti. Negli anni, anche da posizioni contrapposte, ho avuto modo di conoscerne le qualità umane e l’impegno istituzionale e sono certo sapranno chiarire la propria posizione. Mi spiace soprattutto per il senso di smarrimento e di sconforto che possono sentire davanti ai fatti contestati e ancora di più a quegli indici puntati dalla quanti si nascondono dietro un titolo di giornale urlando allo scandalo senza leggere il testo, senza cercare di capire cosa è successo pensando che “nella notte i gatti siano tutti neri”. Ma mi dispiace anche che l’avviso di conclusione indagini, e quindi una colpevolezza eventuale tutta da dimostrare, sia già diventata su tutti i media nazionali e locali una condanna senza appello per un Capoluogo di regione del profondo Sud che, anche nel caso di accertamento di assoluta estraneità ai fatti – come auspico per tutti – rimarrà infangato in maniera indelebile. Per chi crede nella politica come servizio, per chi mette da parte la famiglia e gli interessi personali per servire quelli collettivi della comunità a cui appartiene e continua a credere che una società più giusta ed equa dove vivere sia possibile, questo è un grande e immenso dolore”.

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