Monsignor Bertolone: ‘Il Natale è festa di liberazione’

'Cristo è l'infante appartenente a una famiglia misera, profuga e perseguitata. Un Dio bambino che scende al livello degli uomini per poter accogliere tutti'


di Monsignor Vincenzo Bertolone*

La nostra notte di Natale trascorreva nell’insonnia e nell’ascolto più ansioso. Il minimo rumore ci faceva trasalire. Non era necessaria una grande sensibilità per commuoversi all’idea che Maria e Giuseppe col Neonato stessero per rifugiarsi in casa nostra. Se ne riceveva un’impressione che probabilmente avrebbe lasciato una traccia per tutto il resto della vita‘.

In quanti, cristiani inclusi, vivono ancora il Natale come lo descriveva Ignazio Silone, uno che credente non era? I segni che la venuta del Messia ha impresso nelle coscienze sono sempre stati profondi. Da tempo, però, il Natale si è trasformato in festa di colore, di commerci incartati col sentimentalismo, di gesti tradizionali, ripetitivi e superficiali, al massimo con qualche emozione. 

Ben altro e molto di più è la fede: a chi è colmo di cose e di parole Cristo non è necessario, è soltanto un ornamento delicato e persino secondario, forse solo memoria di un’infanzia tenera ma ormai lontana. Aveva ragione un altro grande della letteratura italiana, Alberto Moravia, pure lui cattolico non fervente, quando scriveva: ‘Il Natale odierno mi fa pensare a quelle anfore romane che ogni tanto i pescatori tirano fuori dal mare con le reti, tutte ricoperte di conchiglie e di incrostazioni marine, che le rendono irriconoscibili. Per ritrovarne la forma, bisogna togliere tutte le incrostazioni. Così il Natale. Per ritrovarne il significato autentico bisognerebbe liberarlo da tutte le incrostazioni consumistiche, festaiole, abitudinarie, cerimoniose’. Per riuscirci, si dovrebbe probabilmente uscire dal calduccio delle case in festa per andare in cerca dei veri protagonisti del Natale, dispersi nel freddo delle strade, abbandonati nella solitudine della vecchiaia, umiliati dalla povertà e dal disprezzo, rinchiusi nei campi-profughi e schiacciati da violenze, malattie, dal malaffare e dalla corruzione, come avviene anche tra di noi, in Calabria, terra oppressa dalla violenza mafiosa e dalla prepotenza delle ‘ndrine

È altro, il Natale, e va cercato e vissuto nella sua reale essenza. Il Cristo che entra nella storia non è solo quello glorioso delle icone e dei mosaici, ma l’infante appartenente a una famiglia misera, profuga e perseguitata. È un Dio bambino che non respinge, che scende al livello degli uomini per poter accogliere tutti. È un Dio che entra nella fragile carne umana, simile ‘all’erba che germoglia al mattino: all’alba fiorisce, germoglia e a sera è falciata e dissecca’ (Salmi, 90, 5-6). Come ricorda papa Francesco, ‘ha il volto dei nostri fratelli e sorelle più bisognosi, dei poveri che sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi’. È colui che indica la strada per la libertà, per l’autentica giustizia, per quella rivoluzione dello spirito che è anche il cambiamento di mentalità di cui s’avverte un gran bisogno nelle città e nei paesi della nostra terra.

Insomma, il vero Natale è liberazione dei cuori e delle coscienze, celebrazione della nascita di Cristo che si presenta nella semplicità, nella povertà e nella gioia: porta pace e speranza, ed invita tutti a fidarci ed affidarci a Lui. A tutti, cristianamente auguri!

*Presidente della Cec e Arcivescovo metropolita di Catanzaro e Squillace