‘Buon Natale ai carcerati’

'Non abbiate paura' di dirlo a voce alta: Buon Natale a voi, fratelli nel Signore, privati della libertà'

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    di Nunzio Raimondi*

    In questi giorni di Natale si è deciso di eseguire centinaia di arresti.
    È inevitabile, quindi, che queste feste siano connotate da una vicenda che, prim’ancora che giudiziaria, è caratterizzata da accenti di urlante umanità.
    Te ne accorgi incontrando la gente in queste ore: questi eventi hanno segnato le coscienze e, proprio per la coincidenza con la festa delle famiglie, del calore umano, dei bimbi ed i loro giocattoli, i figli che tornano a casa da fuori, il freddo del carcere si sente più forte.

    E di questo clima Ti accorgi pure riscontrando il silenzio dei commentatori sull’argomento di cronaca, in questa occasione prudentissimi dopo che per anni ci hanno subbissato con i loro articoli su tutto e di più.

    Si capisce che serpeggia un’attesa preoccupata, perfino sgomenta, che non ha nulla a che vedere con l’Avvento, con Gesù che viene in mezzo a noi! Complice questo cattivo tempo, nonostante gli apprezzabili sforzi di animare i centri cittadini con festoni e luminarie, la Calabria soffre.

    Sembra non apprezzare il largo dispendio di risorse ed energie umane e professionali dirette a liberare i territori dall’asfissiante presenza del crimine, sembra non accettare l’azione efficace di contrasto ad una ‘cappa’ con la quale ha convissuto per tanto tempo ed alla quale,tutto sommato, aveva fatto l’abitudine e, forse, era scesa anche a patti.

    Un Natale fiacco, connotato da mille incertezze sul futuro, da nulla che lo riscaldi e lo rischiari.

    L’attualità, a dispetto delle ormai imminenti elezioni regionali, è però tutta sulle catene e sui personaggi illustri che ne sono stati attinti.

    Il delitto è, infatti, di regola associato al castigo e questo da un lato disarma le coscienze sporche e, d’altro lato, rianima i moralizzatori, veri o finti, d’ogni tempo, i quali non hanno perso occasione per aprir bocca.

    Ma siamo o non siamo a Natale?

    E la fede Cristiana non dovrebbe respingere almeno in questi giorni, critiche maldestre inneggianti al volto marmoreo del diritto penale?

    Il delitto, infatti, dovrebbe evocare nel Cristiano la misura della giustizia divina, ossia la Misericordia, non quella, pur comprensibile nella logica umana, della bonifica dal male. E ciò per la semplice ragione che i nostri pregiudizi possono condurre verso una strada completamente sbagliata, senza avere il coraggio di guardare più a fondo, intelligere, accontentandosi di una verità apparente o semplicemente sbandierata dalla grancassa mediatica.

    E poi c’è quel menefreghismo verso chi è ritenuto responsabile a priori a causa delle proprie scelte di vita: quanto presuppone una sorta di superiorità morale di chi vede il carcerato e gli riversa addosso tutta la sua ipocrisia.

    Nella mia vita ho incontrato, in ragione della mia Professione, tante persone detenute al di là delle sbarre, ho dialogato con loro, ho cercato di capire, ho cercato di non fermarmi in superficie entrando senza timore nella loro vergogna.

    In questi giorni leggo e sento parlare tanto – anche talvolta a sproposito – persone che si considerano migliori di questo o di quello, che stanno da una parte e non dall’altra, impegnati in mille distinguo, perfino da parte di chi dovrebbe insegnare la comune condizione della fragilità umana. Ed invece, di fronte alla tragedia del carcere, al di là del torto e della ragione, della improntitudine delle beatificazioni e delle demonizzazioni giornalistiche, occorrerebbe ragionare sulla fiducia. Si, la fiducia al posto del giudizio: quanta ne ho nel mio prossimo e questo in me. Perché questa deriva censoria, che divide in buoni e cattivi, come se la giustizia fosse soltanto giustizialismo e la difesa dei diritti soltanto garantismo, è la madre di tutti i conflitti perché pretende di prevalere sull’altro.

    Mentre la comunità deve saper distinguere fra l’essere ed il dover essere (si dovrebbe riparlare della lezione humeana) fra l’errore e l’errante (anche di quella del ‘Papa buono’) senza ipocrisie ed infingimenti.

    Guardando l’uomo privato della libertà, spesso inondato dalla vergogna, torna quindi forte il richiamo alla fiducia nel prossimo, quel filo che il carcere recide e che, al contempo, si propone, spesso velleitariamente, di ricostruire. Solo attraverso la fiducia si può comprendere fino in fondo l’uomo, il suo silenzio assordante di fronte alla speranza che declina. Quanti innocenti ammutoliti giacciono nelle carceri, quante vittime d’ambizione sfrenata, prepotenza, insolenza, errori imperdonabili per chi li ha ampiamente maneggiati pur di costruire, accrescere e mantenere, ad ogni costo, il proprio successo.

    Il trionfo dell’IO sull’ALTRO, la fiducia finita nell’abisso.

    Quando la diffidenza trasmoda in discredito e cessa quel naturale affidamento che occorre serbare verso la persona umana, quell’assegnamento che promana dalla Speranza, l’uomo si perde e comincia a farsi strada la cattiveria, il rancore, la sete di vendetta. E le conseguenze di questo tragico divenire sono ancora più gravi, perché c’è chi non vede altro che le stigmate del delitto, a prescindere dall’errore si cerca soltanto, per vaporizzare nella coscienza comune il primo, di umiliare l’errante.

    Penso sinceramente che in questo tempo d’innegabile confusione, bisognerebbe mettersi in ascolto del silenzio degli innocenti piuttosto che farsi assordare dai megafoni dei censori d’ogni specie e natura.

    La comunità non consideri il carcere lo scarto della società, non si faccia mettere a posto la coscienza da chi pensa di estirpare il male con il male, il delitto col castigo.Si tenti di penetrare la condizione umana nel suo complesso, senza cercare scorciatoie, aprendosi ad una fiduciosa comprensione delle dinamiche che possono condurre a condotte astrattamente esecrabili.

    Ci sono giudici a valutare i fatti ascritti a chi si trova in prigione e questo è tutto un altro tema che attiene alle nostre regole, per buone o cattive che siano.

    Ma qui si parla d’altro: sia detto a chiare lettere, chi nuoce alla società deve essere messo nelle condizioni di non arrecare danno. Qui non si vuol fare della carità stolta, ma chiedere una riflessione sulla necessità di promuovere, con mezzi appropriati (ed il carcere non sembra esserlo) la crescita umana, il rispetto della dignità della persona, della fiducia nell’altro, nel diverso da noi.

    Dalla negazione di questa fiducia, nascono, infatti, la gran parte dei delitti. E non è certo emarginando in carcere l’uomo in errore che estirperemo la malapianta che è all’origine della prepotenza umana.

    Noi Cristiani non possiamo dimenticare, infatti, che Gesù è morto tra due malfattori e che Egli stesso fu annoverato fra i malfattori.

    ‘Non abbiate paura’ (S.Giovanni Paolo II) dunque di dirlo a voce alta:
    Buon Natale a voi, fratelli nel Signore, privati della libertà!
    I nostri occhi sono nei vostri occhi, le nostre mani nelle vostre mani
    “.

    *avvocato

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