La Brigata Catanzaro: la storia del 141° e del 142° reggimento

Il 7 giugno 1915 la Brigata parte per Udine, dislocandosi fra Zugliano e Terenzano, alle dipendenze della III Armata


La brigata di fanteria Catanzaro viene creata il 15 gennaio del 1915 a Catanzaro lido sotto il comando del colonnello Farella Gaetano. La brigata è composta da due reggimenti, il 141° e il 142°, che in tutto conta circa seimila soldati caratterizzati da mostrine di colore rosso e nere: sanguinis mortisque colores gestamus: ubique victores: (portiamo i colori del sangue e della morte: ovunque vincitori). 

Il 7 giugno 1915 la Brigata parte per Udine, dislocandosi fra Zugliano e Terenzano, alle dipendenze della III Armata. I soldati della Catanzaro affrontano per la prima volta il nemico in Friuli il 25 luglio 1915, nei sanguinosi assalti di Bosco Cappuccio in cui vengono decimati dalle mitragliatrici austriache. La Catanzaro deve riorganizzare le truppe. Torna in prima linea affrontando cruenti attacchi contro le fortificate trincee nemiche di Sella San Martino sul Carso dove perde quasi la metà degli uomini. Dal 18 settembre al 4 novembre 1915 il numero totale di dispersi, feriti e caduti ammonta a 4.348 unità, di cui: 29 morti, 76 feriti e 7 disperasi tra gli ufficiali. 747 morti, 2.759 feriti e 730 dispersi tra la truppa.

Nel gennaio 1916, fattasi grave la minaccia austriaca al valico di Oslavia, la brigata Catanzaro sostituisce in prima linea il 35° fanteria della Brigata Pistoia, riuscendo ad arginare l’avanzata nemica.  Tornata sul Carso, concorre ad azioni dimostrative per agevolare attacchi al San Michele ed al Podgora, mentre nel mese di Maggio si trova sull’altopiano dell’Asiago.
I soldati del 141° Reggimento si distinguono nella battaglia del monte Mosciagh e diventano celebri  per aver riconquistato pezzi di artiglieria nemica. Infatti la sera del 27 maggio 1916, nonostante una incredibile raffica di fuoco e bombe a mano e gli effettivi ridotti e senza ufficiali, il maggiore Corrado ordina di avanzare con la baionetta. Si combatte fino a mezzanotte inoltrata, dopo una spietata carneficina, i cannoni avversari vengono raggiunti e occupati.

Il 29 maggio, sul «Bollettino di Guerra» n. 369, il generale Cadorna comunica che un brillante contrattacco dai soldati del valoroso 141° Reggimento della Brigata Catanzaro, ha messo in salvo due batterie da campagna sul monte Mosciagh: «la baionetta ricuperò il cannone!».
Ma, la postazione sul Mosciagh conquistata con coraggio, sacrificio e al prezzo di così tanto sangue, viene abbandonata il giorno dopo per ordine dell’Alto Comando. La brigata Catanzaro viene chiamata di nuovo sulla linea del San Michele.
Dopo un breve turno di riposo, in luglio la Catanzaro torna in trincea tra San Martino del Carso ed il paese di Peteano. Iniziata la VI battaglia dell’Isonzo, il 6 agosto 1916, i soldati si trovano impegnati sul San Michele. Quattro giorni di battaglia sotto le fortificate postazioni austro-ungariche e del 141° e del 142° sopravvissero appena gli uomini per formare un unico battaglione. Le stime sono terribili: Il 141° conta 10 ufficiali morti, 4 feriti, 2 dispersi, e 150 caduti, 1.257 feriti e 347 dispersi tra la truppa. Il 142° conta 12 morti, 36 feriti, e 5 dispersi tra gli ufficiali, 213 morti , 1.182 feriti e 246 dispersi fra i soldati. Tale sacrificio viene ricompensato con la concessione della medaglia d’oro al valor militare al 141° e d’argento al 142°, medaglie consegnate in seguito dal duca di Aosta. Tutti i quotidiani nazionali celebrano le imprese e il sacrificio della Brigata Catanzaro: i soldati calabresi, provenienti da una regione lontana dal confine nemico, si distinguono per coraggio, disciplina e attaccamento alla patria. Armati di sola baionetta affrontano il fuoco nemico.

Adolfo Zamboni, ufficiale del 141° Reggimento, esalta le doti umane e il coraggio dei soldati di Calabria:
«Piccoli, bruni, curvi sotto il peso del grave fardello, scesero alle stazioni delle retrovie e si incamminarono verso le colline Carsiche gli umili fantaccini della remota Calabria, la forte terra dalle montagne boscose e dai clivi fioriti dove pascolano a mille i placidi armenti. Chiamati lontano dalla Patria in armi, questi poveri figli di una regione abbandonata lasciarono le loro casette sperdute tra i monti, abbandonarono i campicelli e le famiglie quasi prive di risorse e vennero su nelle ricche contrade che il nemico mirava dall’alto, bramoso di conquista e di strage. Percorsero tutta la penisola verdeggiante e sostarono nelle trincee scavate nella roccia e bagnate dal sangue. Fieri e indomiti, cresciuti nella religione del dovere e del lavoro, i calabresi non conobbero la viltà, non coltivarono nell’animo gagliardo il germe della fiacchezza: alla Patria in pericolo consacrarono tutte l’energia dei loro rudi cuori, tutto il vigore delle floride vite. Apparivano selvaggi, ed erano pieni d’affetti nobilissimi; sembravano diffidenti ed aprivano tutto il loro animo a chi sapeva guadagnarsi il loro amore; all’ingenuità ed al candore quasi puerili univano il coraggio e la risolutezza dei forti. Un piccolo servigio, una cortesia usata loro, ve li rendeva fedeli fino ad affrontare per voi con indifferenza il pericolo. I compagni d’arme delle regioni del Nord, dividendo un vecchio pregiudizio, per il quale i fratelli dell’Italia inferiore erano considerati alquanto retrogadi e selvaggi, guardarono da principio con una certa noncuranza sdegnosa quei soldati dalla parlata tanto diversa e così schivi di convinzioni; «terra mata» e «terra pipe» erano gli appellativi che talvolta scherzosamente venivano indirizzati ai modesti gregari nati e cresciuti nelle terre del meridione. Però, quando la fama cominciò a diffondersi e a divulgare il loro valore e la loro audacia; quando si videro quei forti campioni muovere decisamente e costantemente all’assalto sanguinoso di posizioni inespugnabili; quando infine seppe l’ecatombe offerta dal popolo dell’Italia negletta, allora in tutto il Paese nostro si levò una voce concorde di ammirazione e di plauso e si benedirono quelle coorti di giovani dalla salda fede e dal fervido entusiasmo».

Nel maggio 1917, X Battaglia dell’Isonzo, la Brigata è ancora in posizioni, il 23 maggio riceve l’ordine di attaccare: il paese di Lukatic viene conquistato a colpi di baionetta, i contrattacchi nemici tutti respinti. Provata e sfinita dai combattimenti nella notte tra il 25 e il 26 maggio 1917, la Catanzaro viene rimpiazzata da altri reggimenti e inviata a Gonars per riposare. Solo pochi giorni dopo giunge un fonogramma di un novo trasferimento in prima linea a quota 219 di fronte all’Hermada. Alla notizia soldati del 141° e del 142° protestano sostenendo di aver diritto ad un periodo più lungo. Seguiranno alcuni arresti e la condanna a morte di un soldato.

La domenica del 15 luglio 1917 i fanti della brigata Catanzaro si trovano a Santa Maria La Longa, dove stanno trascorrendo negli accampamenti posti nelle vicinanze un periodo di riposo. Le truppe dei due reggimenti possono finalmente riposare visto e considerato che gli alti comandi hanno stabilito un periodo medio-lungo di riposo. In tarda serata, giunge l’ennesimo fonogramma: bisogna tornare in trincea. Si scatena la rabbia e con essa la protesta. I soldati sparano con le mitragliatrici, vengono prese di mira le postazioni degli ufficiali. Alcuni militari si portano nei pressi dell’abitazione del conte di Colloredo Mels, dove si pensa possa trovarsi il poeta-soldato Gabriele D’Annunzio, sparando verso l’abitazione. Tra i morti, il fante di Poggio Imperiale Placido Malerba. La rivolta prosegue per tutta la notte e si placa con l’arrivo di una compagnia di Carabinieri, quattro mitragliatrici e due cannoni e reparti della cavalleria. Così la rivolta è sedata.

All’alba del 16 luglio 1917 la rappresaglia è spietata: 28 soldati di cui sedici fanti estratti a sorte fra i centoventi fanti della VI compagnia vengono portati a ridosso del muro di cinta del cimitero di Santa Cecilia, alle 11.00 del mattino, e infine gettati in una fossa comune. È il primo caso di ammutinamento nelle file del Regio Esercito, un’onta che ancora oggi macchia il nome di una delle Brigate di Fanteria più eroiche del nostro Esercito.

La rivolta della brigata Catanzaro suscita profonda impressione tra i soldati e nel Comando Supremo. Alla base dell’ammutinamento c’è stata la mancata concessione delle licenze promesse e la stanchezza dopo le continue battaglie. Fatica e logorio che non terminano dopo le esecuzioni.
Scortata dai carabinieri, la Catanzaro viene trasferita in una zona malsana e paludosa della bassa friulana. Alcuni battaglioni partecipano a duri combattimenti tra le paludi del lisert e lungo le sponde del Timavo, tra le case del paese di San Giovanni di Duino, per tentare l’aggiramento del monte Hermada, l’ultimo baluardo austriaco sulla strada per Trieste. Inizia l’XI battaglia dell’Isonzo tra il 17-31 agosto 1917. Il 142° riesce ad arrivare ad un centinaio di metri dal paese, mentre il 141° occupa una dopo l’altra le posizioni nemiche a cavallo della ferrovia adriatica sino ad arrivare al grande viadotto di quota 36. Ai primi di settembre dello stesso anno, gli austriaci operano un poderoso contrattacco sorretto dalle artiglierie, gran parte delle posizioni conquistate sono perdute, il 142° resiste ad oltranza sulla quota 145 nord di fronte a San Giovanni, il paese è ripreso alla baionetta con l’aiuto dei reparti dell’Arezzo e Toscana. La repressione nei confronti dei rivoltosi continua nei giorni a seguire: 135 soldati vengono arrestati e sottoposti a processo, 33 ufficiali e sottoufficiali colpevoli di non aver agito per reprimere la rivolta.

A luglio del 1918 la brigata è in linea tra il Pria Forà ed il Novegno, dove s’infrange l’ultimo tentativo di sfondamento austriaco durante la Strafexpedition, rimanendo nelle dette posizioni sino al 29 ottobre 1918, giorno della  Battaglia di Vittorio Veneto, quando viene spostata sul basso Piave dove la raggiunge l’armistizio del 4 novembre 1918.
Alle bandiere di guerra del 141° e 142° reggimento vengono concesse due Medaglie d’Argento, una per ciascun reggimento. La Brigata ha avuto anche 2 citazioni sui bollettini del Comando Supremo. Tre ufficiali ricevono la Medaglia d’Oro al Valor Militare, altri 2 l’Ordine di Savoia. Le Medaglie d’Argento distribuite agli uomini della Catanzaro sono 152, quelle di Bronzo 204. Le perdite sono state in linea con l’onore dimostrato sul campo: 17.500 soldati tra morti, feriti, dispersi.

Dopo la guerra, diversi soldati calabresi vengono mandati nel Manicomio di Girifalco. Il frastuono delle cannonate, la violenza degli scontri con la baionetta, la vista di centinaia di cadaveri, l’angosciante lamento dei feriti, le condizioni inumane di vita nelle trincee e la nostalgia di casa, mette a dura prova il loro equilibrio mentale provocando gravi disturbi psichici.
Tra gli anni 1916 – 1918 sono 498 i militari calabresi, siciliani, campani e lucani ricoverati a Girifalco.
 
Pietro Marchio – Associazione Storia della Calabria e della Sila