Antonio Ludovico, il cantore dei dimenticati

Il suo libro'C'era una volta il catenaccio', trentuno storie di calcio che non c'è più


La storia, qualche volta, la scrivono i perdenti e i dimenticati. Antonio Ludovico sembra avere una speciale predilezione per gli “ultimi” o, come ama definirli, gli “imperfetti”. Si parli di musica o di calcio, fa poca differenza. Lui, avvocato per professione e intellettuale per vocazione, ha fatto una scelta di campo. Troppo comodo celebrare le rockstar o i palloni d’oro, con i loro vizi e le loro fortune dorate. Più complicato esplorare l’animo e la personalità di chi il successo non lo ha raggiunto o, se lo ha raggiunto, lo ha perso. Sono i “diversi”, i “sans-papiers” della musica e del calcio, il popolo degli “imperfetti” che muove la grande ruota del destino.

E dopo le 31 storie rock di “Protagonisti imperfetti”, ecco arrivare le 31 storie di calcio dedicate ad altrettanti figli di un Dio minore, figurine sbiadite e qualcuna un po’ logora del grande album della pedata. Un calcio che non esiste più, come non esiste più il “catenaccio” che rese immortale e invincibile il leggendario paròn del Milan Nereo Rocco.

Il calcio raccontato da Ludovico è assai lontano dal set patinato dei Cristiano Ronaldo, dei Romelu Lukaku, dei Lautaro Martinez. Anzi, è l’esatto contrario. Sono le storie in chiaroscuro di protagonisti a metà, piccoli grandi eroi che hanno dovuto fare i conti con la propria personalità e umanità, con i propri vizi e le proprie virtù. C’è il succo della vita, nel calcio.

Non so quale sia stato il criterio utilizzato dall’autore per la scelta dei protagonisti, poiché la platea dei “dimenticati” del calcio italiano è praticamente sterminata. Credo lo abbia ispirato per alcuni la sua cultura musicale e l’infinita passione per il rock e l’anticonformismo. Sono “rock” personaggi come Alviero Chiorri, Gil De Ponti, Paolo Sollier, Ezio Vendrame. Capelli lunghi, i primi orecchini, abbigliamento vagamente beat, idee sinistrorse.

C’è poi il lungo capitolo della sofferenza e della solidarietà, il racconto di vite spezzate e di morti misteriose, di vicende strappalacrime.

La sofferenza e la tragedia creano il mito. Come è accaduto per Gigi Meroni, il più perfetto degli “imperfetti”, il beat del calcio italiano che portava con sé il carico delle contraddizioni e delle speranze degli anni Sessanta.

I due “camei” dedicati ad Angelo Mammì e Massimo Palanca impreziosiscono un lavoro che mette in risalto la grande sensibilità dell’autore che potremmo ben definire il “cantore dei dimenticati”.

Sergio Dragone