Il dilemma male interpretato da Spirlì: come governare con l’ordinario in tempi straordinari

Sarebbe servita cultura politica. Che è come il coraggio: uno, se non ce l’ha, mica se la può dare

C’è un prima e un dopo nell’esperienza istituzionale di Antonino Spirlì, in arte Nino. La linea di mezzo, il crinale appena sopra al declinante piano inclinato data 15 ottobre 2020, giorno dell’infausto decesso di Jole Santelli, presidente eletto della Regione Calabria. Il prima del vicepresidente nominato della Giunta Santelli era stato di un grigiore quasi assoluto.

Nelle conferenze stampa, numerose, indette dalla presidente, i suoi interventi non erano stati memorabili. Tant’ è vero che non se ne ricordano. Perché la personalità di Santelli era predominante sulla totalità dei suoi colleghi di esecutivo: cosa che si notava parecchio, nonostante l’impegno assunto in campagna elettorale di usare più il “noi” che il pronome “io”. Anche dal punto di vista produttivo, la delega di Spirlì alla Cultura e alla Sicurezza non si era fatta molto notare.

A voler forzare si può forse ricordare l’avviso pubblico sulle “Identità culturali”. O l’intervento nel marzo 2020 quando ci furono disordini nella tendopoli di San Ferdinando con il rifiuto dei migranti dei pasti caldi in segno di protesta. Anzi, per dire il vero, ci fu una volta che Spirlì assunse un ruolo da quasi comprimario. Fu a settembre 2020 in occasione della presentazione di Giovanni Minoli quale commissario della Calabria Film Commission, quando intromettendosi nel discorso che Minoli stava imbastendo sulle peculiarità della nascente “Calabria Lab” e sulla volontà di ricercare anche in Calabria nuovi autori, Santelli proruppe in un entusiastico endorsement verso il suo vice: “Ma noi ce l’abbiamo in Giunta, un autore e un poeta”, indicando proprio Spirlì seduto in prima fila nella sala Verde della Cittadella.

Per il resto, l’unico approccio alla notorietà di Spirlì in campo nazionale fu l’intervento dal palco di Catania al convegno organizzato il 1° ottobre dalla Lega, quando proruppe nella famigerata performance sul politicamente scorretto con la dichiarata preferenza a termini quali “negro” e “ricchione” rispetto a “nero” e “omosessuale”. Commettendo anche una forzatura nell’asserire che in calabrese per dire nero si dice “nigru” senza nessuna connotazione razzista. Non so dalle parti di Taurianova, ma nel catanzarese la dizione esatta è “niguru”, equivalente per persona di pelle nera e per il colore che non riflette le frequenze della luce.
Tutt’altro discorso dopo il 15 ottobre. Fisicamente connotato con la crescita della barba sul volto di Spirlì. Non si fece molto caso, nell’immediato, alla personalità prorompente del presidente facente funzione.

Anche perché tutti, ma proprio tutti, pronosticavano e promuovevano elezioni ravvicinate per l’elezione del nuovo Consiglio e del nuovo presidente. A parole. Nei fatti, l’impreparazione all’evento in tutti i partiti e la coincidente seconda ondata consigliarono a rinvii sempre più procrastinati fino al definitivo appuntamento per una domenica tra i prossimi settembre e ottobre.

Con il portato di trasformare un periodo breve di proroga in un esercizio del potere esecutivo addirittura più prolungato del regolare. Un periodo caratterizzato dalla straripante iniziativa politica e mediatica del facente funzione che tutto ha fatto e tutto fa meno che attenersi al dettato che gli imporrebbe l’esercizio della normale amministrazione la produzione di atti urgenti e non differibili. Certo, i mesi che stiamo vivendo non sono normali. Il che fa sorgere un dubbio.

L’emergenza Covid si è abbattuta come uno tsunami sul disastrato servizio sanitario regionale mettendone in risalto, se mai ce ne fosse bisogno, mancanze e inefficienze. Inserite in un quadro di debolezze strutturali economiche e sociali. In tempi straordinari, si può governare per così lungo tempo attenendosi all’ordinario? Probabilmente no. Proprio per questo avrebbe dovuto soccorrere la moderazione, la collaborazione, la mediazione tra le parti e l’apertura al dialogo. In una parola, la cultura politica. Ovvero, proprio ciò che è mancato a Nino Spirlì, il presidente facente funzione, l’effe effe. Che ha strafatto, straparlato, strabordato. Superfluo infilare i grani di un rosario ormai lungo e noto a tutti. Basti citare solo l’ultima settimana, summa dei mesi trascorsi sull’ottovolante: la ricerca del capro (il pecuro) espiatorio sull’ex Villa Bianca, Ulisse alla scoperta del ponte sullo Stretto, la nuova dis-ordinanza sulle scuole.

Tutto, ormai è certo anche se l’effe effe è restio ad ammetterlo, in chiave elettorale. Spirlì lo ha rimproverato ai suoi interlocutori in Consiglio regionale, con una padronanza che è sembrata frutto di un dialogo tra sé e sé davanti allo specchio.

D’altra parte, nel centro destra la partita della candidatura non è per niente chiusa su Roberto Occhiuto, nonostante le rassicurazioni fornite da Giuseppe Mangialavori. Nuovi competitor crescono, anche in considerazione del puzzle da mettere insieme con le amministrative d’autunno. Fratelli d’Italia è in vigile attesa con Wanda Ferro. Ieri è uscito allo scoperto il vice segretario regionale della Lega Cataldo Calabretta con l’avviso a caratteri cubitali: se non si chiude su Occhiuto, il primo nome è Spirlì. Calabria avvisata, mezzo salvata.