Rosario Bressi e Vitaliano Caracciolo: il nostro addio a Italia Viva

"Un partito che di vivo e vivace conserva, almeno da noi, esclusivamente il sostantivo. Doveva essere una speranza, si è rivelata una delusione!"

Non si può stare più in un partito, Italia Viva, che perpetua sistematicamente ciò che dice di abiurare.
La nostra adesione a Italia Viva è avvenuta nel modo più logico. È stata la naturale evoluzione di un percorso iniziato nel 2012 con le Primarie per la scelta del candidato a Premier per il centrosinistra, passando per la permanenza nel Pd, e si è conclusa con la adesione a Italia Viva, appunto, nel settembre del 2019.
Unico filo conduttore: il sostegno convinto a Matteo Renzi e alla sua azione politica.

Un’azione politica che ha suscitato passione ed entusiasmo anche quando sono arrivate le cocenti delusioni delle sconfitte elettorali e la bocciatura del referendum del 2016. Lo stesso entusiasmo e la stessa passione che si è alimentata con le soddisfazioni delle vittorie e delle conquiste politiche. Le abbiamo vissute tutte, da iscritti prima e da dirigenti del PD, poi. In un partito con il quale il rapporto è stato “forte” e, talvolta, “insidioso”. Del resto, alcune pratiche, tipiche dei grandi partiti, pur facendo parte della vita e della natura stessa di una comunità politica, per noi sono sempre state un fattore di disagio e, nel nostro piccolo abbiamo sempre cercato di combatterle. Le correnti, il dirigismo, l’incomprensibile distanza fra eletti e militanti, i caminetti ristrettì, le decisioni poco discusse (talvolta imposte), il “baronaggio” dei rappresentanti istituzionali, le logiche feudali e i candidati calati dall’alto. Il rapporto con tutto ciò ci ha portato spesso a ritrovarci su posizioni “minoritarie” all’interno del “partitone” e, appunto, in un “partitone” anche le posizioni delle minoranze hanno, o almeno, hanno avuto una loro logica e una naturale venatura di estrema e grandissima dignità. Tuttavia, l’insofferenza ha spesso condizionato il nostro personale rapporto con il partito, del quale, con orgoglio, conserviamo rapporti umani forti e sinceri tutt’ora e nonostante l’allontanamento politico.

Ebbene, se vivere con “insofferenza” le dinamiche di un grande partito possono, in qualche modo, portare a scegliere di uscirne perché si è convinti di approdare in una comunità nella quale le insofferenze siano ridotte (queste le motivazioni più forti), ciò che abbiamo dovuto scoprire in questi anni di adesione a Italia Viva rasentano quasi il “grottesco” e il surreale.

La scalabilità di una partito, l’emersione del merito, la rottamazione delle logiche dalle quali si è voluto consapevolmente prendere le distanze e, soprattutto, la pari dignità fra eletti e militanti, sono state una pia illusione. Niente di ciò che abbiamo immaginato si è palesato. Tutt’altro. Nessun confronto e nemmeno l’ombra di pratiche condivise. Scelte calate dall’alto e fatte con logiche per le quali il buon Cencelli sarebbe inorridito. Parlamentari che piazzano bandierine di qua e di la come se donne e uomini appassionati fossero esclusivamente dei birilli da sistemare lungo un percorso “privilegiato” intriso di comodità a favore degli stessi parlamentari.

Militanti storici umiliati e relegati a meri cliccatori da comitato. Meritocrazia e forza delle idee buttate nel cesso. Antiche logiche spartitorie che annacquano passione ed entusiasmo. Insomma, un partito (Italia Viva) che nei contenuti si rende alternativo a tutti gli altri, ma che nei metodi di selezione della classe dirigente ricorda più il Partito Comunista Sovietico che non il moderno e frizzante “En Marche” francese (Renew, per stare al passo coi tempi). Un partito nel quale i veti dei “capi territoriali” sono un tutt’uno con la metodologia anti-democratica della partecipazione alle scelte. Un partito che sceglie i suoi dirigenti cooptandoli fra i “protetti” dei “feudatari” del territorio e non con un più ortodosso metodo di determinazione democratico e/o meritocratico. Almeno all’apparenza. Un partito che sui territori, quantomeno su quello catanzarese, sconta uno stile da leaderismo spiccio, arrogante e retrogrado, nel quale si fa fatica a convocare una riunione, un incontro informale, una cena o a redigere una nota stampa se non prima tutto passi dal “capo locale”. Poco importa se il “capo locale” è in odor di “giravolta” partitica (l’ennesima…).

Quello che conta è “tenere dentro” tutto e tutti a qualsiasi costo, con buona pace di quanti hanno immaginato che Italia Viva fosse davvero “ alternativa” al resto dei partiti. Un partito intriso di “gelosie” e di personaggi che come unico obiettivo hanno quello di riciclarsi con una mano di vernice viola a coprire vecchi vestiti azzurri a tinte giallo verdi che, per carità, saranno anche legittime operazioni politiche, ma che, allo stesso tempo, minano le convinzioni dei poveri iscritti che ancora “credono” nei valori democratici del confronto e della partecipazione attiva. Non ne facciamo una questione di mancata condivisione di azioni e di politiche, il sostegno chiaro a Matteo Renzi rimane intatto e convinto, ne facciamo una questione di dignità calpestata e di umiliazione diffusa. Il sostegno a certe idee riformiste, al garantismo e all’innovazione, non potranno mai venire meno.

Tuttavia, tali idee, evidentemente, possono essere sostenute e mantenute anche senza l’adesione ad un partito che, doveva essere la casa di chi voleva contribuire a modernizzare il quadro politico, ma che alle nostre latitudini ha riprodotto, invece, il più bieco e ottuso feudalesimo politico, fatto di vassalli e valvassori. Di baronesse e cortigiani poco inclini al sacrificio politico ma avvezzi all’imposizione e all’arrivismo.
Un partito che di vivo e vivace conserva, almeno da noi, esclusivamente il sostantivo.
Doveva essere una speranza, si è rivelata una delusione!

Rosario Bressi
(già membro Assemblea Nazionale Italia Viva)

Vitaliano Caracciolo
(Coordinatore Comitato IV Catanzaro)