La cultura subisce lo strapotere dei nuovi mezzi di comunicazione e gli intellettuali scelgono la strada dell’individualismo

"C’è da aspettarsi una larghissima fetta di astensionismo"

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di Marcello Furriolo*

Quando mancano meno di venti giorni per le elezioni regionali, l’impressione è quella di assistere ad una partita senza storia e anche noiosa. Una specie di esibizione tra scapoli e ammogliati, in cui divertono più gli sberleffi tra i candidati, che non l’esito finale che appare del tutto scontato. De Magistris e la Bruni che si rimbalzano le reciproche magagne, Oliverio che tenta lo sgambetto contro il PD, per impedire che arrivi al secondo posto, Salvini e la Meloni che giocano per il ruolo di capocannoniere, a scapito di Forza Italia, Occhiuto che pensa solo alla squadra di Governo. Con qualche problema di geopolitica, tra Cosenza, Reggio e Catanzaro, che rischia di rimanere fuori dagli assetti che contano (Presidente della Giunta a Cosenza, Vice Spirlì a Reggio,) come la presidenza del Consiglio Regionale, a cui guardano con molto interesse quelli di FdI del capoluogo di Regione.

Come si vede una contesa che ha poco di politico e quasi nulla a che vedere con i problemi reali della Calabria. Al punto che c’è da aspettarsi una larghissima fetta di astensionismo, forse superiore a quello, già preoccupante, delle elezioni del 2020.

Né suscita alcuna emozione vera il dibattito che si è tentato di stimolare sulla scelta, assai discutibile, di un gruppo di proclamati “intellettuali”, che ha firmato un inconsueto manifesto di sostegno alla candidatura “rivoluzionaria” di Luigi De Magistris, in aperto dissenso con la linea passatista dell’attuale dirigenza del PD. Invero una questione quasi ininfluente, considerato lo scarso peso elettorale dei sunnominati “intellettuali” e, sopratutto, in ragione del fatto che, specie in questo ventennio, il peso politico degli intellettuali in Calabria è stato del tutto marginale e, quando si consumavano le più clamorose scorrerie nei confronti di questa terra, letteralmente abbandonata sulla strada del declino irreversibile, da una classe politica e dirigente incapace e spesso connivente, la voce  degli uomini di cultura, con qualche rispettabile eccezione, era colpevolmente silente e in molti erano comodamente appollaiati nelle stanze del potere. Ovviamente nessun riferimento specifico o personale. Il problema è il ruolo delle classi professionali e intellettuali, che in Calabria hanno perso completamente funzione di indirizzo e di guida dei processi di sviluppo e di cambiamento. Anche perché mancano i luoghi dell’incontro e della discussione.

Il ruolo stesso della stampa, la mancanza di riviste intorno a cui far crescere lo stimolo alla critica e al confronto delle idee. Il ruolo delle televisioni, a partire da quella regionale di Stato appiattita su mediocri servizi di cronaca giudiziaria e riciclaggio di veline politiche dei potenti di turno. Il ruolo stesso delle Università, preoccupate di accaparrarsi iscrizioni degli studenti, con una assurda politica di duplicazione dell’offerta di insegnamento, poco legata  alle effettive esigenze del territorio. In questo contesto si è consolidata la narrazione sui media nazionali della “questione calabrese”, inchiodata sullo stereotipo della criminalità onnipresente e della irrecuperabilità della Calabria ad un percorso virtuoso di civiltà e di progresso. Se non di democrazia. Al punto che è dovuto intervenire da Vibo un intellettuale milanese come Paolo Mieli per gridare “basta agli stereotipi negativi sulla Calabria!” e affermare che il futuro del Paese si gioca, non genericamente sul riscatto del Sud, ma proprio dalla messa in moto della motrice Calabria alla testa del treno dello sviluppo del Mezzogiorno. Parole che, da tempo, non si ascoltavano nè da parte dei politici calabresi, né da parte degli intellettuali, che pure conoscono bene i caratteri identitari di questa terra.

Ovviamente superflua è la domanda sul perché il PD e più in generale la sinistra, ha perso il rapporto privilegiato con gli intellettuali calabresi. Ammesso che lo abbia mai avuto. La vera questione è che il PD ha perso il rapporto con il territorio e, conseguentemente, non ha avuto interesse ad elaborare un’ analisi dei problemi e delle loro cause e una strategia di superamento, un progetto di cambiamento. Ma forse alla base c’è la lenta e progressiva perdita di identità e trasformazione del PD, da partito che avrebbe dovuto fare sintesi moderna tra la cultura cattolica democratica e quella socialista riformista, in federazione di comitati elettorali finalizzati alla conquista e mantenimento di posizioni di governo. Per questo PD i cosiddetti intellettuali, notoriamente poco inclini alla ricerca del consenso, non costituiscono più neanche l’etichetta della diversità e dell’impegno organico a tradurre per le masse i contenuti della linea politica, mentre la cultura ha subito lo strapotere dei nuovi mezzi di comunicazione, che consumano in un baleno messaggi e parole d’ordine e gli intellettuali hanno scelto vieppiù la strada dell’individualismo, in cui spesso si nasconde l’opportunismo.

Semmai resta da capire in che modo l’abbraccio con la battaglia rivoluzionaria del Sindaco di Napoli, importata in Calabria, possa trovare coerenza con una realtà culturale che pure, nel tempo, ha espresso figure come Corrado Alvaro, Leonida Repaci, Saverio Strati, Mario La Cava, Rocco Scotellaro, Giovanni Mastroianni…                       

Ma questa è un’altra storia.

*avvocato

 

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