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Diffamazione via web: come, quando e dove

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    Quando si pensa alla rete Internet si pensa immediatamente a un via vai di informazioni. E tante di queste, qualora coincidenti con espressioni denigranti e percepite da un numero indefinito di soggetti terzi, possono dare origine al reato di diffamazione via web. L’illecito della diffamazione in generale è previsto dall’articolo 395 del codice penale e si configura quando chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione. Un reato di evento, inteso, quest’ultimo, come avvenimento esterno all’agente e causalmente collegato al comportamento di costui. Un evento non fisico, ma, si potrebbe dire, psicologico, consistente nella percezione da parte del terzo, o meglio dei terzi, dell’espressione offensiva, che, pertanto, si consuma non al momento della diffusione del messaggio, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano “terzi” rispetto all’agente e alla persona offesa. Con riferimento alla diffamazione via web, vi è da dire che l’art. 395 comma 3 del codice penale configura il reato di diffamazione commesso col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. Ebbene, detto reato può essere di certo commesso anche per via telematica o informatica, come sostiene la Corte di Cassazione in una storica sentenza (Cass. Pen. Sez. V, 27 dicembre 2000, n. 4741), poiché l’azione di immissione del messaggio “in rete” è idonea a ledere il bene giuridico dell’onore. L’idoneità del sito Internet a concretare il reato diffamatorio trova conforto in molta giurisprudenza di merito, che non ha sottovalutato la pericolosità della rete telematica nella realizzabilità di fattispecie criminose, ritenendo che “l’abuso del diritto di cronaca può concretarsi anche tramite diffusione di messaggi via Internet, poiché il mezzo di diffusione non modifica l’essenza del fatto, valutabile alla stregua dei normali criteri che governano il libero e lecito esercizio del diritto di cronaca” (Tribunale Teramo, ordinanza del 11 dicembre 1997).
    Ma come e quando si configura il reato di diffamazione attraverso il web? La Cassazione, con la sentenza del 17 novembre 2000 n. 4741, ha affermato che il reato di diffamazione telematica si integra con l’immissione di scritti lesivi dell’altrui reputazione nel sistema internet e la consumazione del reato avviene “non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano “terzi” rispetto all’agente ed alla persona offesa”, tanto che “l’evento appare temporalmente, oltre che concettualmente, ben differenziato dalla condotta”. Cosicché, tale reato si consuma anche se la comunicazione con più persone e/o la percezione da parte di costoro del messaggio non siano contemporanee alla trasmissione e contestuali tra di loro. Infatti, i destinatari possono trovarsi persino a grande distanza gli uni dagli altri ovvero distanti dall’agente. Tanto non accade nell’ipotesi di diffamazione commessa a mezzo posta, telegramma o e-mail, in cui è necessario che l’agente compili e spedisca una serie di messaggi a più destinatari. Qualora egli, invece, utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente verso tutti, sia pure nel ristretto – ma non troppo – ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a connettersi (Cass. pen. sez. 5, 21 giugno 2006 n. 25875; Cass. pen. sez. 5, 17 novembre 2000 n. 4741).
    Lo ha ribadito recentemente la Corte Suprema nella sentenza del 26 giugno 2010, n. 2739 che, nell’individuare i criteri per la determinazione del luogo di consumazione del reato di diffamazione commesso mediante la pubblicazione di un articolo su un giornale on line, ha precisato anche che il provider mette a disposizione dell’utilizzatore (nel caso trattato dalla Cassazione la testata editoriale o giornalistica) uno spazio web allocato presso un server, che può trovarsi ovunque. Una volta inserite le informazioni non si verifica alcuna “diffusione” delle stesse: i dati inseriti non partono dal server verso alcuna destinazione, ma rimangono immagazzinati a disposizione dei singoli utenti che vi possono accedere, attingendo dal server e leggendoli al proprio terminale. Ne consegue che, quand’anche esista un preciso luogo di partenza (il server) delle informazioni, lo stesso non coincide con quello di percezione delle espressioni offensive e, quindi, di verificazione dell’evento lesivo, da individuare nel luogo in cui il collegamento viene attivato. Il sito web sul quale viene effettuata l’immissione è, per sua natura, destinato ad essere visitato da un numero indeterminato di soggetti; pertanto, nell’ipotesi in esame, in cui un giornale sia redatto in forma telematica, deve necessariamente presumersi che all’immissione faccia seguito, in breve tempo, il collegamento da parte di lettori, non diversamente da quanto deve presumersi nel caso di un tradizionale giornale a stampa. Accade, allora, che quando una notizia risulti immessa sul sito web si presume fino a prova contraria la diffusione della stessa, proprio in quanto l’accesso ai siti web è in genere libero e frequente. Sicché l’immissione di notizie o immagini in rete implica la fruibilità da parte di un numero solitamente elevato di utenti, anche se difficile da accertare.
    Pertanto, sulla base di tali considerazioni, si desume che il luogo in cui viene commesso il reato di diffamazione telematica è da individuare in quello in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da un maggior numero di fruitori della rete. Dunque, nel luogo in cui il collegamento viene attivato.

    Assunta Panaia

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