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Educare a scuola: metodi leciti e illeciti

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    E’ iniziato l’anno scolastico e a ricordarci che la scuola deve avere un ruolo educativo senza oltrepassare, però, “certe regole” è, come già più volte accaduto, la Suprema Corte di Cassazione.

    La quaestio, oggetto della sentenza della Cassazione n. 34492 dello scorso 10 settembre, è ormai abbastanza nota, e fa riflettere ancora sui metodi educativi usati da alcuni docenti, che, per le loro discutibili scelte disciplinari, si sono ritrovati dinnanzi al giudice. In balia di giudizi che, come in questo caso, spesso si concludono con una condanna.

    Ma, entriamo nello specifico della questione. 

    La casistica

    Con la succitata recentissima pronuncia, gli ermellini hanno condannato a quindici giorni di reclusione un’insegnante di scuola media per avere abusato dei mezzi di correzione e di disciplina in danno di un alunno undicenne, costringendolo a scrivere sul quaderno per 100 volte la frase “sono deficiente”.

    Secondo l’accusa, il docente avrebbe adoperato nei confronti dell’alunno un atteggiamento palesemente vessatorio, rivolgendogli espressioni che ne mortificavano la dignità, rimproverandolo e minacciandolo di sottrarlo alla tutela dei genitori. E, tanto avrebbe causato nel minore un disagio psicologico.

    In primo grado, l’imputata era stata assolta per insussistenza dei fatti contestati. Il giudicante aveva accolto la difesa dell’insegnante, la quale, a giustificazione del suo comportamento, aveva invocato la condotta “bullistica” dell’alunno che, a detta della stessa, andava interrotta con un intervento tempestivo ed energico. Dunque, l’imposizione dell’insegnante, seppure poteva integrare gli estremi di un mezzo educativo sproporzionato e, come tale, abusivo, venne ritenuta dal giudice di merito adeguata alla finalità pedagogica in concreta perseguita.

    In secondo grado, invece, la Corte d’Appello aveva ritenuto l’insegnante colpevole del reato di abuso dei mezzi di disciplina, di cui all’art. 571, comma primo e secondo, del codice penale, ritenendo assorbito nell’aggravante del secondo comma il reato di lesioni. L’imputata, secondo la Corte Territoriale, che nel frattempo aveva messo in discussione la sussistenza di una situazione di bullismo invocata e richiamata in prima grado, aveva “manifestato nei confronti del minore un comportamento particolarmente afflittivo e umiliante, trasmodante l’esercizio della sua funzione educativa, sanzionando davanti la classe con una frase contenente una qualificazione offensiva nei confronti del medesimo, costringendolo ad insultarsi scrivendo cento volte la frase in questione ed imponendogli di fare firmare il compito dai genitori”.

    Di recente, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34492/2012, ha confermato la colpevolezza dell’insegnante per avere commesso il reato di abuso dei mezzi di disciplina e di correzione, ma ha escluso la sussistenza dell’aggravante di avere provocato un disturbo psichico all’alunno, riducendo, il tal modo, la pena da 30 a 15 giorni di reclusione.

    In merito al disturbo del comportamento, si precisa che, ai fini dell’integrazione dell’abuso dei mezzi di correzione ex art. 571, comma primo, c.p. (“Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi”), è sufficiente che dalla condotta dell’agente derivi il pericolo di malattia fisica o psichica, che può ben essere desunta anche dalla natura dell’abuso stesso, secondo le regole della comune esperienza, senza che si sia verificata concretamente. Per converso, affinché si configuri l’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 571 c.p. (“Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni”), è necessaria la sicura prova che vi sia stata una lesione fisica o psichica al minore, e non la probabilità. 

    Abuso del potere disciplinare

    Orbene, a questo punto, si considera utile porre l’accento sulla “rilettura” che i giudici di legittimità, nell’ambito della pronuncia sopra citata, hanno fatto dell’art. 571 c.p. alla luce della Costituzione, del diritto di famiglia e della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino.

    Una rilettura, quella della Suprema Corte, che consente a tutti coloro che operano nel mondo scolastico – primi fra tutti gli insegnanti, che si ritrovano spesso a dovere esercitare le loro funzioni nei confronti di soggetti difficili e nell’ambito di situazioni altrettanto difficili, come quelle di bullismo, fenomeno da anni dilagante nelle scuole – di individuare una volta per tutte i limiti del potere educativo o disciplinare loro attribuito.

    Innanzitutto, devesi sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha precisato che “non può ritenersi lecito l’uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi”.

    In più, con particolare riferimento all’ambito scolastico, va rilevato che secondo la Corte Suprema  “il concetto di abuso presuppone l’esistenza in capo al soggetto agente di un potere educativo o disciplinare che deve essere usato con mezzi consentiti in presenza delle condizioni che ne legittimano l’esercizio alle finalità ad esso proprie e senza superare i limiti tipicamente previsti dall’ordinamento”. Ne deriva, che, da una parte, non ogni intervento disciplinare o correttivo può ritenersi lecito soltanto in quanto soggettivamente finalizzato a scopi educativi o disciplinari; e, dall’altra, è considerata abusiva la condotta, di per sé non illecita, quando il mezzo è usato per un interesse diverso da quello per cui è stato conferito, per esempio per punizione, a scopo vessatorio, per umiliare la dignità della persona sottoposta, ecc…

    La nozione giuridica di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina non può, pertanto, non conformarsi all’evoluzione sociale e giuridica del concetto di abuso sul minore. Dalla nozione riduttiva di abuso, inteso come comportamento attivo dannoso sul piano fisico per il minore, si è passati, infatti, ad un concetto più ampio che involve anche l’aspetto psicologico.

    Pertanto, il reato di abuso di correzione o di disciplina si configura anche quando si pone un essere un comportamento doloso che umilia, denigra, svaluta o violenta psicologicamente un minore causandogli pericoli per la salute, anche se è compiuto con intento educativo o disciplinare (Cass. 16491/2005).

    Nel processo educativo – lo ha bene spiegato in sentenza la Corte di Cassazione – vi deve essere una congruità tra metodi e risultati. Cosicché, è del tutto contraddittorio pretendere di contrastare il bullismo con mezzi che, anziché veicolare verso atteggiamenti più solidali, finiscono per rafforzare nel minore la convinzione secondo cui i rapporti relazionali, scolastici e sociali, sono decisi dai rapporti di forza o di potere. La risposta educativa dell’istituzione scolastica deve essere sempre proporzionata alla gravità del comportamento deviante dell’alunno e non può mai tradursi in trattamenti che possono essere in qualche modo lesivi dell’incolumità fisica o afflittivi della personalità del minore.

    In definitiva, “il fine non giustifica i mezzi!”.

                                                                                               Avv. Assunta Panaia

     

    Studio legale Panaia
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