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Invio di fax pubblicitari senza consenso, risarcito anche il danno morale

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    Accade spesso di ricevere fax o e-mail di tipo pubblicitario senza averne dato il consenso. In entrambe le ipotesi si tratta di sistemi automatizzati che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 130 del Decreto legislativo n. 196/2003 (Codice per la protezione dei dati personali), rubricato “comunicazioni indesiderate”.

     

    Articolo 130 Codice per la protezione dei dati personali

    Lo Stato italiano con art. 130 del decreto legislativo n. 196/2003 ha recepito il dettato della direttiva n. 2002/58/CE, dando, rispetto a quest’ultima, maggiori garanzie al destinatario. Difatti, mentre il legislatore comunitario ho prescritto l’obbligo del preventivo consenso del destinatario per l’invio di comunicazioni elettroniche finalizzate alla commercializzazione diretta di beni o servizi, il legislatore italiano ha imposto l’obbligo del preventivo consenso dell’interessato anche quando l’invio è effettuato per altri fini: la vendita diretta, l’invio di materiale pubblicitario, il compimento di ricerche di mercato e comunicazioni commerciali. Fuori da questi casi, l’invio di comunicazioni non richieste può avvenire legittimamente solamente qualora sia stato richiesto il preventivo consenso dell’interessato all’utilizzo dei proprio dati personali (art. 23 Codice privacy), oppure nelle ipotesi in cui il trattamento può svolgersi anche senza il consenso dell’interessato (art. 24 Codice privacy, ad esempio i dati sono stati reperiti presso pubblici registri, elenchi sottoposti ad un regime di conoscibilità generalizzata come elenchi telefonici o registri elettorali).

    L’art. 130, al punto 4, detta inoltre che “se il titolare del trattamento utilizza, a fini di vendita diretta di propri prodotti o servizi, le coordinate di posta elettronica fornite dall’interessato nel contesto della vendita di un prodotto o di un servizio, può non richiedere il consenso dell’interessato, sempre che si tratti di servizi analoghi a quelli oggetto della vendita e l’interessato, adeguatamente informato, non rifiuti tale uso, inizialmente o in occasione di successive comunicazioni. L’interessato, al momento della raccolta e in occasione dell’invio di ogni comunicazione effettuata per le finalità di cui al presente comma, è informato della possibilità di opporsi in ogni momento al trattamento, in maniera agevole e gratuitamente”. Dunque, l’invio di messaggi indesiderati (spamming) può dirsi lecito soltanto qualora l’interessato abbia fornito le proprie coordinate di posta elettronica nell’ambito della vendita di un prodotto o di un servizio e se, al momento della raccolta dei dati, sia stato adeguatamente informato della possibilità di poter ricevere in futuro nuove informazioni pubblicitarie inerenti servizi o prodotti analoghi a quelli oggetto del precedente rapporto di natura commerciale, e sempre che l’interessato non si sia preventivamente (o successivamente) opposto a tale invio.

    Per completezza, si evidenzia che il punto 5 dell’art. 130 prevede in ogni caso il divieto di inviare comunicazioni promozionali o di natura commerciale (nei casi previsti dal comma 1 e indicati in precedenza) camuffando o celando l’identità del mittente o senza fornire un idoneo recapito all’interessato. Da ultimo, la norma conferisce all’autorità Garante per la protezione dei dati personali la facoltà di prescrivere ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica di adottare apposite procedure di filtraggio o altre misure relativamente alle coordinate di posta elettronica da cui sono stati inviate le comunicazioni, in caso di reiterate violazioni delle disposizioni relative alla disciplina dettata dell’art. 130.

     

    Il caso. Sentenza del Tribunale di Brescia, sez. I

    Sono tante le cause azionate in particolare per l’uso illegittimo della posta elettronica. Di recente la problematica dello spamming è stata affrontata dal Tribunale civile di Brescia, sezione prima, con la sentenza 4 marzo 2013, ma con riferimento all’invio di fax pubblicitari.

    Nel caso di specie parte attrice ha chiesto la condanna della società di telefonia Wind Telecomunicazioni S.p.a. al risarcimento del danno patrimoniale e morale conseguente all’illecito trattamento dei propri dati personali in quanto, nonostante l’espressa richiesta di cessazione, la società ha continuato a inviare a mezzo fax materiale pubblicitario all’utenza del suo studio professionale.

    A nulla è valsa la difesa della convenuta, che, invocando l’art. 130, punto 4, Codice Privacy, ha sostenuto che l’attrice aveva espressamente autorizzato l’invio di materiale commerciale con riguardo a una vecchia linea residenziale poi cessata, per cui tale autorizzazione doveva ritenersi estesa anche alla linea per cui è stata intentata causa.

    Il Tribunale di Brescia ha, all’uopo, rilevato che l’art. 130 del Codice per la protezione dei dati personali consente l’uso di sistemi automatizzati di chiamata o di comunicazione di chiamata senza l’intervento di un operatore per l’invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale solamente con il consenso del contraente o utente, specificando che tale consenso può sempre essere revocare. Nella fattispecie,  l’attrice aveva, infatti, inviato una raccomandata con la quale diffidava formalmente la convenuta dall’invio di materiale pubblicitario a mezzo fax.

    Il giudice di primo grado ha, pertanto, condannato la Wind al risarcimento, oltre che del danno patrimoniale, anche del danno morale ai sensi dell’art. 15 del Codice privacy, secondo cui chi ritiene di essere stato leso a seguito dell’attività di trattamento dei dati personali che lo riguardano può ottenere il risarcimento dei danni senza dover provare la colpa del titolare che ha trattato i dati, rimanendo a carico dell’interessato l’onere di provare eventuali danni derivanti dal trattamento, e dell’art. 1226 codice civile, tenuto conto del particolare patimento e disagio conseguente al continuo invio di fax da parte di Wind anche successivamente alla diffida e persino in corso di causa.

                                                                                                        Assunta Panaia

     

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