Le rubriche di Catanzaro Informa - Il filo di Sophia

FELICITA’ ED ECONOMIA

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    Che cos’è la felicità? Tutti concordano nel ritenere che il bene supremo conseguibile dall’uomo risieda nella felicità, l’eudamonia greca. Ma l’accordo vien meno quando bisogna chiarire che cosa sia effettivamente la felicità e quali siano le implicazioni morali, politiche, sociali ed economiche ad essa connesse. Il concetto di felicità, nozione umana e mondana, nasce dunque con l’intento di definire il sommo bene per l’uomo, il fine ultimo a cui tendere, lo stato di appagamento dell’anima. Nell’ambito della riflessione etico-politica occidentale, l’idea di felicità sembra essersi uniformato sui suoi autorevoli sinonimi, il piacere e l’interesse, la virtù e la sorte. I filosofi greci hanno così creato l’immagine di una vita migliore per indicare la forma da assumere, lo stile da adottare, in ogni circostanza, per essere perfetti, per essere degni uomini, e meritare il favore della sorte o, almeno l’approvazione degli uomini eccellenti, simili nell’aspirazione della virtù, o, infine, in mancanza di questo, la stima di se stessi.  L’argomento arriva poi nella storia moderna ad assumere un’importanza strettamente economica e sociale attraverso il problema di come armonizzare la ricerca della felicità propria di ogni individuo con il benessere della collettività o il dibattito circa l’incompatibilità tra società ricca e virtuosa. In tempi recenti, ed oggi più che mai, l’attenzione posta dagli economisti per la felicità è il risultato di una tendenza che molti studi, soprattutto statistici, hanno riscontrato nel nostro tempo nei paesi considerati più avanzati: nonostante il reddito pro-capite aumenta la felicità delle persone resta insensibile o, in alcuni casi, diminuisce. Fino a una certa soglia l’aumento della felicità è direttamente proporzionale all’aumento della ricchezza. Va da sé che in media le persone ricche sono più felici di quelle povere e i cittadini dei Paesi del Primo mondo sono più felici delle popolazioni del Terzo mondo. A un certo punto però questo cammino parallelo di ricchezza e felicità si interrompe, la ricchezza continua a crescere mentre il livello di felicità rimane incagliato, con il rischio di compiere notevoli passi indietro. Questo meccanismo, noto come paradosso della felicità, secondo Easterlin è causato dalle aspirazioni sul futuro: il benessere soggettivo infatti dipende dal reddito corrente e, maggiori sono le aspettative di aumentare il reddito futuro, maggiore sarà l’infelicità se tali aspettative andranno deluse. Per la prima volta nella storia questo punto di rottura del legame tra ricchezza e felicità è stato raggiunto nei paesi occidentali. Le nostre società dovrebbero iniziare a spendere ciò che guadagnano per incrementare la felicità dei cittadini e per potenziare l’insieme dei legami sociali. Come? Investendo nelle relazioni umane. Sulla base di relazioni di reciproca fiducia è anche più semplice avere sistemi di redistribuzione del reddito efficaci, indispensabili per redistribuire anche la felicità. Inoltre nell’interazione tra gli individui che si esplica comunque in una forma di consumo particolare che ha ad oggetto i cosiddetti beni relazionali che non possono essere acquistati con il denaro e cosa, ancora più distintiva, sono imprevedibili come risultato nel senso che il loro consumo può implicare un aumento ma anche una diminuzione della felicità.

    Anna De Fazio

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