Disoccupazione giovanile
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Com’è purtroppo noto da tempo, lo stato di disoccupazione giovanile (15-24) in Italia ha toccato record drammatici. Un tasso che secondo i dati parziali dell’Istat sfiora il 40,4% tra i giovani, in aumento di 0,2 punti percentuali su agosto e di 4,4 su base annua. Numeri che denotano ancora una volta la difficile condizione professionale in cui verte la maggior parte dei ragazzi italiani, del mezzogiorno particolarmente, e che però non tiene conto di quella fascia di età – compresa tra i 24 e i 35 – per la quale risulta impossibile riuscire a trovare un’occupazione in grado di renderli autonomi e indipendenti. Il tasso di disoccupazione, cioè il rapporto tra i disoccupati e la forza lavoro, varia da un gruppo socio-demografico all’altro, secondo uno modello che sembra essere uguale nelle moderne economie sviluppate e nei diversi periodi temporali. Solitamente infatti, si riscontrano tassi di disoccupazione per giovani, donne, gruppi etnici minoritari e persone poco istruite. Si fa un gran parlare, nelle sedi politiche e istituzionali, di come arginare il fenomeno dei giovani senza lavoro, senza tuttavia però riuscire in alcun modo a incidere in maniera significativa sul dilagante fenomeno della disoccupazione. Ebbene si. I nostri rappresentanti politici ritengono sufficiente varare qualche decreto su tirocini e incentivi di assunzione per far credere di incidere positivamente sulla questione emergenza lavoro. A nulla sono valsi d’altronde anche gli interventi previsti dall’Unione Europea e stanziati per le regioni “obiettivo convergenza” – Campania – Puglia – Basilicata – Calabria – Sicilia – che avrebbero potuto e dovuto, viste le ingenti risorse impegnate, offrire nuove opportunità alle giovani generazioni attraverso progetti indirizzati ai ragazzi in cerca di occupazione. Fondi strutturali, spesso impegnati e non spesi, soggetti a lenti iter burocratici e a programmazioni regionali con rigidi vincoli e criteri procedurali del tutto inopportuni. Una situazione, ormai al limite, che determina un disagio evidentemente economico ma soprattutto sociale. Il lavoro, sin dai tempi di Esiodo, rappresenta un elemento distintivo e ineluttabile della personalità stessa dell’individuo e della sua inclusione(che oggi diviene esclusione) nella società. Giovani titolati che impiegano anni senza trovare un regolare lavoro e con il passare del tempo subiscono un violento processo di emarginazione. Emarginazione dagli esiti disparati e in molti casi gravi per la loro personalità e per la loro partecipazione alla vita sociale. Le difficoltà che derivano dunque dalla distanza tra realtà e attesa per il futuro si fanno più rilevanti quanto più i giovani raggiungono un’età in cui ci si aspetta da loro una condizione personale, familiare e indipendente, che la mancanza di un lavoro, a tempo indeterminato e non solo, invece non consente. Quanto più la ricerca di soluzioni diviene più insistente, si arriva a prendere in esame risoluzioni che non rientrano nella regolarità e nella liceità; un’emarginazione dalla collettività che può sfociare in comportamenti antisociali, criminali, nichilistici, comportando, nei casi estremi, anche a rifiutare la propria vita. E mentre le giovani risorse umane italiane restano nel limbo, le classi dirigenti politiche nazionali e regionali incentrano la loro attività su temi e questioni che nulla hanno a che fare con la grave contingenza economico-finanziaria, inducendo sempre più giovani ad abbandonare il nostro Paese.
Anna De Fazio