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La ‘rieducazione della società’ ai tempi del Covid-19

Ai sensi dell’art. 27 comma 3 della Costituzione “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

La Costituzione obbliga i legislatori in ottemperanza al c.d. “principio di umanità della pena” a non approvare modalità di pena che siano lesive del rispetto della persona (ad es. pene corporali o forme di tortura), ma non basta: le pene non devono tendere solamente a punire chi si è reso colpevole di un reato, ma, se possibile, devono mirare anche alla sua rieducazione favorendone il reinserimento nella società.

La pena, dunque, qualunque essa sia deve condurre il soggetto che la subisce ad una revisione critica del suo agito, ad una riflessione accurata in merito alle scelte compiute nella vita precedente la pena e condurre alla “rieducazione” ovvero al percorso virtuoso di recupero del soggetto atto al suo reinserimento nella società.

Ebbene la condizione di reclusione che per la prima volta nella storia moderna, l’umanità sta vivendo dovrebbe, secondo un semplice sillogismo condurre ad una “revisione critica” di se stessa e dunque ad una sua “rieducazione”.

Procediamo, quindi, per gradi così come per gradi è il processo rieducativo del detenuto: innanzitutto il primo passo verso la consapevolezza del percorso di recupero passa attraverso il rapporto uomo/ambiente, uomo/pianeta.

Prima che il Covid-19 sconvolgesse la vita dell’uomo moderno, infatti, avevamo lasciato quest’ultimo alle prese con inquinamento, polveri sottili, allontanamento di alcune specie animali, proteste da parte di giovanissime attiviste per la tutela ambientale; pertanto se c’è una prima cosa che si rileva facilmente è che il mondo “sta meglio” senza umanità.

E’ notizia recente il miglioramento delle condizioni dell’aria, soprattutto nelle città del Nord Italia dove il problema dell’inquinamento atmosferico aveva spesso condotto alla decisione di alternare le targhe per la circolazione del traffico, e così via.

Ora che l’uomo si è rintanato nelle sue caverne dorate, la natura sembra rinascere: le acque, l’aria, la terra sembrano rinvigorire senza il loro dominatore, così come molte specie animali, riapparse nuovamente in luoghi prima completamente o parzialmente interdetti.

Ne deriva che l’umanità post Covid-19, dovrà essere rieducata ad un maggior rispetto verso il mondo che la ospita, considerando se stessa “non più come tirannica padrona ma come rispettosa ospite”.

Secondo tassello del percorso rieducativo della società post coronavirus è la revisione critica delle priorità finora poste al centro del suo operato, valorizzando, al contrario un ritorno alla visione personocentrica posta alla base della Costituzione Italiana.

Oggi che è in pericolo, l’umanità riscopre l’importanza della vita e della salute ma anche il valore del tempo che non può essere dedicato solo alla produttività e al guadagno, ma va speso anche nelle tante attività apparentemente futili che, al contempo, riempiono la vita di tutta l’umanità di impareggiabile significato.

L’amore, l’amicizia, i viaggi, lo sport, la famiglia meritano di tornare al centro della vita dell’uomo e non solo nei vuoti periferici lasciati dalla frenetica vita lavorativa.

Ultimo, ma non in ordine di importanza, percorso di rieducazione che deve interessare l’umanità post detenzione è la “rieducazione” nella scelta della leadership: se c’è, infatti, una sicura lezione che il “molliccio” uomo moderno post Covid-19 ha imparato è quella che la scelta errata del Capo, della Giuda, del Generale, del Comandante qualunque essa sia e in qualunque settore ricada, può costare molto cara.

In altre parole bisogna essere molto esigenti quando si tratta di scegliere a chi affidare il delicato compito di “guidare” e ciò con riguardo a tutti i livelli organizzativi.

La giuda è la testa di una organizzazione e pertanto questo delicato compito dovrebbe spettare solo a coloro i quali possiedano, accanto alle comprovate competenze tecnico-professionali, anche idonee attitudini personali e caratteriali.

Non è un caso che i più grandi autori del passato da Socrate, Platone, Plutarco, Polibio, Tacito, Seneca, Cicerone, Macchiavelli e così via, si sono sempre interrogati sulle qualità del leader e soprattutto sulle innegabili capacità strategiche che potevano anche essere superiori alle qualità morali e personali.

I grandi del passato hanno sempre portato l’uomo a riflettere sull’importanza che le posizioni apicali di una società fossero occupate dagli aristoi” cioè dai migliori ovvero dai soggetti più dotati a rivestire il delicato compito loro assegnato.

Da un grande potere, poi dovrebbe derivare, non solo grande guadagno, ma soprattutto grandi responsabilità e non immunità o impunità.

Il Capo, poi, come insegnano le grandi guide del passato da Leonida a Cesare, Alessandro Magno, Napoleone, Martin Luther King, Ghandi, ecc. dovrebbe sempre essere alla testa dell’esercito e non nascosto dietro i soldati o al “sicuro” nell’accampamento o, per essere più moderni, nei salotti televisivi o nelle stanze delle proprie abitazioni a dispensare moniti e consigli: il capo in contumacia è un disertore!

Questa tragica esperienza che la detenuta umanità sta vivendo di certo avrà avuto il merito di farle aprire gli occhi sul peso che rappresenta la scelta della “testa” di una organizzazione poiché, come avviene nel corpo umano, se la testa va male allora tutto il corpo si ammala.

Incapaci, inetti, stolti, pavidi, possono infoltire, nostro malgrado le file dell’esercito, magari nella speranza che non siano i nostri commilitoni, ma di certo non può essere mai affidata loro la guida dell’armata.

La speranza è, dunque, che la privazione momentanea della libertà restituisca una società rieducata a conferma del fatto che il sistema punitivo abbia sortito il suo giusto e costituzionale effetto.

Claudia Ambrosio-Avvocato e Criminologa