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L’istinto di morte: anoressia

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    L’attuale configurazione dell’anoressia mentale, basata su precisi criteri diagnostici e sull’individuazione dei sintomi sia fisici che psicologici, è frutto di un lungo processo di studio che affonda le sue radici nel XVII secolo quando, ad opera di Richard Morton (1689), fu elaborata una prima descrizione della patologia. Da questo iniziale tentativo teso a individuare, secondo la prospettiva medica allora in voga, le cause organiche del disturbo, sì è passati nel corso dei secoli a differenziare quelle psichiche fino a fare dell’anoressia un’entità clinica ben definita.
    L’anoressia rappresenta uno dei pochi disturbi psichici in grado di condurre alla morte e, in un numero non indifferente di casi, alla cronicizzazione. L’anoressia è considerata una sindrome culture-bound, in quanto è ugualmente diffusa in tutti i paesi industrializzati del mondo; nei paesi in via di sviluppo questo quadro clinico compare via via che aumentano le disponibilità alimentari e che si diffondono costumi propri delle nazioni più ricche. Il rapporto maschi-femmine è 1:10 mentre la distribuzione classi sociali è uniforme. Inoltre, mentre in passato era più frequente la forma restrittiva rispetto a quella bulimica, da anni è vero il contrario.
    Il decorso della malattia è variabile, essendo caratterizzato da una facile tendenza alle ricadute anche dopo fasi di remissione relativamente prolungate. Si fa riferimento ad una durata media di 5-10 anni ma non esiste una regola definita: vi sono casi nei quali la condizione anoressica si mantiene per oltre vent’anni o addirittura permane, con alti e bassi, per tutta la vita. I criteri diagnostici riportati dal DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994) perl’anoressia mentale sono:
    1. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura;

    2. Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando sì è sottopeso;

    3. Alterazione nel modo con cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso della forma del corpo sui livelli di autostima, con rifiuto di ammettere lagravità dell’attuale condizione di sottopeso;

    4. Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi.
    Vengono inoltre distinti due sottotipi:

    – con restrizioni: nell’episodio attuale di anoressia mentale il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione, come vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi;

    – con abbuffate / condotte di eliminazione: nell’episodio attuale di anoressia mentale il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione, come vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.
    L’instaurarsi del regime di restrizione alimentare si attua nei modi più vari: a volte viene ufficializzato attraverso la consultazione di un medico generico o specialista, col benestare o meno della famiglia, che prescrive una dieta ipocalorica; a volte vengono seguite indicazioni o consigli dietetici facilmente reperibili attraverso i mass-media; più spesso, tuttavia, l’anoressica auto-impone, più o meno gradatamente, nuove abitudini alimentari restringendo sempre più sia la gamma che la quantità dei cibi da introdurre.

    In questa prima fase detta “di stato”, l’adolescente appare euforica, forte di avere avuto la meglio sul corpo e di essere stata elogiata per il dimagrimento; molti si fermano a questo punto, altre invece, destinate a entrare nella spirale anoressica, sono convinte di non potersi tirare più indietro, anzi decidono di fare di più per mantenere i risultati raggiunti e impedire un ritorno al peso precedente. Una volta iniziata la restrizione alimentare, il soggetto anoressico attraversa un periodo di “sperimentazione” nel quale deve verificare se il metodo adottato funziona: inizia così sia la consuetudine delle pesate al mattino, alla sera, prima e dopo i pasti, sia le “sedute allo specchio” per monitorare i punti critici come fianchi e cosce. Iniziano, inoltre, le misurazioni al centimetro delle varie circonferenze e le prove di vestiario, nelle quali vengono indossati indumenti più stretti degli abituali per scoprire, con immensa soddisfazione, che calzano sempre meglio.

    A questa prima fase segue la seconda fase in cui l’umore diviene depresso, mentre nella terza l’anoressica nega il suo stato, dice menzogne per eliminare o nascondere il cibo e tenta di camuffare la propria magrezza con vestiti piuttosto larghi. Talvolta la restrizione alimentare può essere intervallata da comportamenti di tipo bulimico e l’introduzione del cibo viene seguita rapidamente da “pratiche compensatorie” atte ad eliminare le conseguenze derivanti dalle calorie introdotte: vomito autoindotto, uso di elevate dosi di purganti, intenso esercizio fisico e digiuno.
    Così nel giro 3-6 mesi il quadro clinico anoressico si stabilizza e la dieta diviene una forza compulsiva che comanda la vita del soggetto, generando un forte senso di padronanza ed euforia in un individuo che prima si sentiva non solo debole, ma anche depresso e vuoto. Il suo ossessivo desiderio di magrezza produce un effetto piacevole, tanto che alcuni autori lo hanno definito “orgasmo della fame”, un vero e proprio godimento originato dal controllo del bisogno fisiologico.
    Oltre alla severa restrizione alimentare l’anoressica utilizza un’altra tecnica fondamentale per liberare il corpo dalle calorie: ne aumenta l’eliminazione attraverso una strenua attività fisica. Nel giro di qualche mese, ma spesso anche di poche settimane, il peso subisce una drastica riduzione (5-10-15 kg), e l’aspetto fisico appare sempre più asciutto. L’intensa attività fisica a cui si sottopone viene infatti sostenuta da una sensazione di onnipotenza e dalla convinzione di poter resistere alla fame e alla stanchezza di un corpo che intende mostrarsi incorruttibile e indistruttibile, anche in assenza di cibo, riposo e cure. Sembra infatti sussistere un rapporto direttamente proporzionale tra denutrizione e attività fisica: più aumenta la prima più si incrementa la seconda.

    In uno periodo variabile rispetto all’inizio del calo ponderale compare un sintomo classico: l’amenorrea. Quasi sempre la gamma dei cibi che possono essere introdotti è ridotta al minimo: si tratta di alimenti ipocalorici (come latte magro, yogurt, verdure scondite) che spesso vengono pesati e misurati per l’esatto calcolo delle calorie che verranno assunte. Quando questi alimenti vengono introdotti si instaurano poi spesso dei veri e propri rituali: ad esempio, viene scelto un determinato momento (quasi sempre la ragazza fa in modo di trovarsi da sola) e un determinato ambiente. Mantenersi nell’ambito dei cibi selezionati da se stessa e delle solite quantità, conferisce all’anoressica una grande sensazione di sicurezza. Anche la modalità di assunzione del cibo può trasformarsi in un rituale che a volte arriva ad avere connotati ossessivi: un alimento deve essere sistemato nel piatto in un certo modo, deve essere spezzettato in un certo modo, deve accompagnarsi in un dato momento con un dato alimento o con un sorso d’acqua, e così via.

    Nei confronti dei liquidi il comportamento è variabile: alcuni soggetti riducono al minimo anche l’introduzione di questi, mentre altri arrivano a vere e proprie intossicazioni idriche nel far fronte alla sensazione di fame e vuoto gastrico. Nonostante l’apparente avversione per il cibo, in realtà l’anoressica nasconde un’intensa propensione verso gli alimenti e l’alimentazione in sé. Non rifiuta il cibo per mancanza d’appetito, anzi è costantemente pressata dal desiderio di alimentarsi; solo negli stadi avanzati si può arrivare ad un effettivo affievolimento dello stimolo della fame. Il cibo è profondamente desiderato e si può arrivare ad instaurare una sorta di “culto” per tutto ciò che riguarda gli alimenti e l’atto di mangiare. Uno dei sintomi distintivi della sindrome è rappresentato dalla distorsione dell’immagine corporea. Accurate nella valutazione delle dimensioni degli oggetti e del peso delle altre donne, sembrano persistere nella sovrastima del proprio corpo anche dopo la guarigione. È una ragazza caratterizzata da valori e credenze stereotipate e pensieri disfunzionali tipici, come per esempio ritenere necessario un completo autocontrollo. Nel profondo infatti sente di essere di poca importanza, mediocre e disprezzata dagli altri: questo basso livello di autostima, occultato dietro una facciata di sicurezza e superiorità, viene compensato dalla sensazione di onnipotenza provocata dal digiuno e dalla perdurante privazione del cibo. Ostinata, orgogliosa e fortemente volitiva, l’anoressica si affanna a nascondere l’incapacità di essere indipendente dal giudizio altrui. La spinta al conformismo, unita al profondo senso di inadeguatezza personale, sviluppano nel soggetto continue aspettative di fallimento che aumentano la paura di deludere, confermando, così, la propria disistima. Ambigua e diffidente nei legami interpersonali per quanto desiderosa di fare amicizie e voler bene, teme di essere invasa e non sopporta le intrusioni, e così, assunto un atteggiamento freddo e distaccato, si chiude in un crescente isolamento che diventa sempre più ingente con il perdurare della malattia. Il sesso la infastidisce, mentre le fantasie sessuali sembrano sparire del tutto e non sembra attratta dai ragazzi: la paura di affrontare la sessualità la conduce a non sviluppare questa componente psichica e a rifiutare gli attributi del corpo che caratterizzano l’identità sessuale sul piano biologico. La sua vita interiore appare pertanto coartata dalla realizzazione che produce una dissociazione psicosomatica, l’Io
    corporeo rimane schiacciato sotto il giogo dello strapotere mentale, garantendo all’anoressica la certezza di sentirsi libera da ogni bisogno umano, indipendente sia dagli impulsi affettivi, sia da quelli fisici come la fame.

    La dissociazione psicosomatica è la condizione in cui si perde l’interezza e l’integrità del vissuto e la persona si vive e si percepisce come se fosse divisa tra corpo e mente, tra vissuti fisici ed esperienze mentali, solo corpo oppure sola mente. Nelle pazienti anoressiche sono presenti profonde alterazioni di tutte le sensibilità: tattile, termica, dolorifica, il gusto, l’olfatto, la percezione della fame e della sazietà fino a una vera e propria perdita della percezione del corpo. Più è profonda la dissociazione, maggiore è il controllo e la mediazione che la paziente è in grado di esercitare sul corpo o sui bisogni e sulle sensorialità corporee e minore il contatto che mantiene con la realtà. Il miglioramento delle condizioni fisiche dopo la terapia medica non incide direttamente sul ripristino delle condizioni psichiche in quanto l’alterazione delle rapporto dell’anoressica con il proprio corpo va oltre il sintomo alimentare e non può essere ricondotta solo alle difficoltà legate alla immagine estetica o sessuale. Nell’adolescenza disarmonie e conflitti nel rapporto con il corpo possono avere un significato funzionale ed anche evolutivo legato alla ricerca ed alla messa alla prova della propria identità; mentre nella paziente anoressica il nucleo di follia risiede proprio nella pretesa di trattare il corpo, che è un oggetto reale ed in contatto con la realtà, come se fosse un oggetto mentale, una creazione o un prodotto della attività mentale della paziente stessa.
    La mente di queste pazienti non tollera la realtà fisica del suo corpo, cerca di non riconoscerlo e di espellerlo, di negarne la consistenza, imponendosi di cancellarne i segni di esistenza e di resistenza, chiudendosi in un isolamento di orgogliosa onnipotenza. Le anoressiche non tollerano il conflitto emotivo, troppo nutrito di odio e di violenza, relativo alla crescita, alla funzione sessuale, alla responsabilità di essere se stesse e quando il sistema anoressico diventa rigido ed esteso, ogni evento al di fuori dello schema ed ogni emozione diviene fonte di incontenibile angoscia, a cui la paziente risponde incrementando i meccanismi di controllo e l’iperattività ideativa, allontanandosi sempre più dalla possibilità di un contatto con il corpo e con la realtà.

    In conclusione, ritengo sia importante sottolineare e rendere chiaro che il disturbo da Anoressia Nervosa non è un disturbo esclusivamente alimentare e che il calo di peso e la scarsa alimentazione sono solo i segni di un logorante dolore che vede una strutturazione fragile di un Io che si trova a dover entrare nel mondo degli adulti ma che non si sente ancora pronto. Tale quadro induce la chiusura pulsionale, affettiva ed emotiva della paziente anoressica che rivendica una autonomia indice di una dipendenza ancora solida e fusionale , nella maggior parte dei casi, con la madre.
    Dunque, smettete di parlare di cibo e sostenete un percorso psicoterapeutico che possa rendere comprensibile alla paziente anoressica, e a chi le sta intorno, il significato nascosto dell’ “istinto di morte”.

    Dr.ssa Laura Iozzo
    Medico Chirurgo Specialista in Psichiatria e Psicoterapia
    lauraiozzo@virgilio.it

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