Le rubriche di Catanzaro Informa - La materia grigia

Claustrofobia: la paura del chiuso

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    I latini chiamavano claustrum un luogo chiuso; dall’unione di questa parola con la consueta parola greca phobia, cioè paura, nasce la parola italiana “claustrofobia” II claustrofobico è un soggetto affetto dalla fobia ossessiva dei luoghi chiusi. La paura claustrofobica é il vissuto di angoscia che segue alla sensazione del soggetto di essere  “chiuso”, rinchiuso, all’interno di qualunque cosa evochi una situazione irreversibile. Claustrazione, dunque, all’interno di oggetti fisici (sensi unici, ascensori, stanze chiuse a chiave, sale affollate…), ma anche all’interno di situazioni socialmente rigide (compleanni,cerimonie, file in uffici pubblici, attese ai caselli autostradali…).  Anche il ruolo può essere vissuto come contenitore, scatola, prigione e indurre a desideri di licenziarsi, di separarsi. A questo sentimento di prigionia segue,  in un processo perlopiù inconscio,  una vera e propria rabbia eversiva (che accosta la claustrofobia alla paura di impazzire e alla paura di commettere crimini). La percezione somatica della rabbia, la paura dell’esclusione per indegnità (cattiveria, incontrollabilità, follia) può sfociare nel panico.  Dunque, la claustrofobia si gioca per intero fra paura di essere chiuso entro un certo sistema di doveri e valori e la paura di essere escluso dalla socialità, “dal banchetto affettivo” a causa della propria intima ribellione ad esso.

    Le paure più frequenti sono la paura che il soffitto e il pavimento si chiudano, schiacciando le persone che si trovano nella stanza, la paura che il rifornimento d’aria si esaurisca e si muoia soffocati, la paura di svenire a causa della mancanza di aria e luce. Il cinema, inteso ovviamente come locale, è un posto tremendo per chi soffre di questa fobia. Lo stesso vale per i teatri, dove forse il controllo sociale si sente in modo ancor più amplificato, essendo gli spettatori ancor più tenuti a osservare il massimo silenzio e, spesso, alla richiesta esplicita di limitare le uscite ai tempi di pausa. Non sono rari coloro che soffrono di questo disturbo in ascensore. Generalmente queste persone preferiscono salire le scale, adducendo i più svariati motivi. Oltre alle classiche manovre di evitamento o di fuga di fronte alla situazione fobica, il claustrofobico tiene a bada l’ansia cercando delle giustificazioni apparentemente logiche che spieghino il motivo di una scelta che altri considerano un po’ strana o quanto meno poco usuale. Le persone che soffrono di claustrofobia sperimentano sintomi molto vari che dipendono dall’intensità della paura e dell’ansia che gli provoca la situazione. Così, i sintomi vanno dal semplice malessere che si manifesta con la secchezza delle fauci, palpitazioni e sudori freddi, fino al malessere generalizzato che si esprime con la sensazione di asfissia, nausea, iperventilazione e sensazione di morte imminente. Si afferma che tra il 3 ed il 4% delle persone soffra di questo malessere generalizzato. L’ansia provoca due reazioni, sul piano fisiologico e psicologico; entrambe le aree si determinano reciprocamente in modo tale che più ci preoccupiamo, più adrenalina libereremo e, più palpitazioni percepiamo e più ci preoccupiamo. In questo modo si crea un circolo vizioso dal quale si può uscire solo se prendiamo coscientemente il controllo della situazione.

    Queste manifestazioni indesiderate vanno scomparendo in modo naturale e spontaneo nella stessa misura nella quale la persona si allontana dalla situazione che le ha provocate. Tuttavia, possono aggravarsi in modo considerevole quando la persona si trova in pubblico dato che la sensazione di vergogna aggiunge ancor più ansia. Facendo parte della categoria delle fobie, anche la claustrofobia è una paura irrazionale di fronte ai luoghi chiusi o che si presenta quando ci si sente intrappolati in spazi troppo piccoli. Tra tutte le fobie, questa è una delle più comuni dato che colpisce almeno il 5% della popolazione mondiale. Ad ogni modo, la parte interessante che riguarda la claustrofobia sta nel fatto che normalmente la persona non teme i luoghi chiusi in sé ma piuttosto la sensazione di paura e gli attacchi di panico che sperimenta quando si trova negli stessi.

    Secondo la psicoanalisi, le fobie sono sempre una manifestazione o un sintomo di qualcos’altro di più significativo. Nello specifico, la psicoanalisi lega le fobie alla rimozione di contenuti inconsci che si manifestano poi nell’evitamento da parte dell’individuo di determinati oggetti o situazioni. La psicoanalisi parla di trauma e di evento traumatico come esperienza alla base della fobia; evento traumatico che viene fatto risalire all’infanzia, mentre l’oggetto o la situazione che vengono evitate dalla persona sono considerati come elementi su cui si è effettuato un fenomeno di spostamento delle emozioni alla base della situazione originaria dell’infanzia. Ciò significa che il ricordo di un evento traumatico dell’infanzia può svanire, mentre i suoi effetti sono ancora ben presenti come rappresentato dalle fobie.

    Come per ogni fobia, è l’intensità del disturbo e l’impatto sulla qualità della vita a determinare la necessità, più o meno stringente, di vincere la paura. In casi lievi, la claustrofobia può tradursi nell’evitare l’ascensore, preferendo le scale, nel chiedere di lavorare in uffici il meno possibile angusti. In altri casi, più seri, occorre rivolgersi ad uno specialista. Spesso vengono prescritti degli ansiolitici per placare i sintomi del panico, ma per sconfiggere la paura è necessaria una psicoterapia: la terapia desensibilizzante che risale all’origine della fobia ed affronta un percorso graduale per imparare a sentirsi al sicuro anche negli spazi chiusi, ancora il ricorso alla terapia cognitivo comportamentale che si rivolge alla ristrutturazione del pensiero che si attiva in occasione dell’attacco claustrofobico e insegna metodi che riducano la sintomatologia ansiosa ed infine la terapia psicoanalitica che ricerca il valore profondo alla base della claustrofobia .

    E’ dunque importante che il soggetto valuti con attenzione quanto i sintomi presenti si rivelino compromettenti e alterino le sue capacità quotidiane così da poter intraprendere un percorso terapeutico.


    Dr.ssa Laura Iozzo Medico Chirurgo
    Specialista in Psichiatria e Psicoterapia
    lauraiozzo@virgilio.it
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