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Comunicazioni ambigue: il doppio legame

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    Uno schema di relazione è un pattern psicologico e affettivo, che orienta il comportamento di un individuo e che si forma in base alle esperienze relazionali primarie, definite legami di attaccamento. L’uomo nasce in relazione e non può vivere isolato: se nessuno si prendesse cura di lui appena nato, non sopravviverebbe.         
    L’essere umano possiede qualità affettive e sociali innate, perché lo sviluppo del sistema nervoso centrale alla nostra nascita non è completo; l’uomo, almeno per tutto il primo anno di vita (in particolare nel primo triennio), necessita di cure, amore, protezione e sicurezza costanti e adeguate al fine di garantirsi la sopravvivenza, non solo fisica ma anche psicologica.      
    L’uomo dunque non può non relazionarsi, non può non legarsi.    
    Perché ogni legame va a modificare una parte di noi e lo fa in maniera proporzionale alla solidità del filo invisibile che ci lega, alla profondità di noi alla quale l’altro è arrivato. I legami dunque ci definiscono e ci modificano. Talvolta anche in senso negativo.        
    Una delle tante forme di legame patologico è quello in cui la comunicazione tra due individui, uniti da una relazione emotivamente significativa, come può essere quella tra un genitore ed un figlio, presenta una incongruenza tra ciò che viene comunicato a livello esplicito, verbale, ciò che viene detto a parole, ed il livello non verbale, metacomunicativo, ciò che viene comunicato con i gesti, gli atteggiamenti, il tono di voce. Capita a volte che il legame con la persona che ci lancia questa comunicazione sia così forte ed invischiante da non lasciarci la possibilità di decidere quale dei due messaggi contraddittori sia valido, né di esplicitare all’altro né a noi stessi l’ambivalenza che stiamo sperimentando. Al fondo di questa strategia si colloca l’assenza di un’affettività profonda e differenziata, in cui coesistono in modo con-fuso e non scindibile gli atteggiamenti fondamentali di amore e di odio; questo si evidenzia chiaramente nelle reazioni ambivalenti del partner dell’ambiguo, rivolti proprio al “chiarimento” della natura amorosa o ostile (libidica o tanatotropica) della relazione. Lo svelamento di questa strategia è intollerabile per l’ambiguo che si vede costretto o alla fuga o alla soppressione del testimone dei suoi deficit, cioè alla distruzione della relazione.  
    Nella realtà delle cose ci troviamo spesso ad avere a che fare con persone che ci mandano messaggi ambigui, ambivalenti, contraddittori, e sono proprio quelle le relazioni dalle quali ci è difficile, se non impossibile, separarci. Le relazioni nelle quali si instaura un doppio legame sono quelle in cui non c’è simmetria tra le due parti, in cui una delle due persone ha probabilmente a sua volta sperimentato una relazione di ambivalenza affettiva, per la quale con un codice comunicativo veniva avvicinata dall’altro, e con l’altro codice allo stesso tempo ne veniva respinta. Questa modalità crea inevitabilmente un legame, anzi due, quanti sono i binari comunicativi sulla quale si muove, che diventa patologico nel momento in cui non riusciamo a renderci consapevoli ed a verbalizzare ciò che stiamo sperimentando, restando quindi vittime agganciate al solo codice verbale (generalmente quello che lancia un messaggio di avvicinamento), con l’aggiunta però di una strana sensazione addosso. Il modo che abbiamo per uscire autonomamente da questo tipo di relazione è cercare di ascoltarci, ascoltare quella sensazione strana che ci lasciano addosso certi scambi comunicativi, certe relazioni. La strana sensazione non è altro che la conseguenza di una manipolazione che l’altro, volontariamente o meno, sta mettendo in atto su di noi, portandoci, in una modalità che sfugge al nostro controllo, dove non avremmo voluto, ed incastrandoci in un legame che non è possibile spezzare, dal momento che non si conoscono tutti i fili invisibili che lo reggono. Josè Bleger,, uno psicoanalista argentino post-kleiniano, hainvece, assunto descritto e definito negli anni ’60 sotto il titolo di “personalità ambigue” una peculiare organizzazione relazionale regressiva e difettiva che può sottostare a numerose fenomenologie cliniche e che è generativao di intensa ambivalenza in chi ne è oggetto. Rifacendosi ai suoi studi sui livelli di apprendimento, Bateson e il suo gruppo ipotizzano che nei contesti schizofrenogeni si possano riscontrare delle esposizioni croniche a situazioni familiari, con particolare riguardo alla madre, di doppio legame. Tale esposizione comporterebbe nel soggetto l’incapacità di valutare correttamente i legami tra comunicazione esplicita ed implicita adoperati dalle persone normali. Ad esempio, la persona, posta di fronte a semplici domande quali “come stai oggi?”, “cosa stai facendo?”, non riuscirebbe ad accettarle come domande prive di doppi fini non contraddittori. La sindrome schizofrenica diviene così un tentativo di fuga, di non comunicazione in un contesto in cui ogni comunicazione è “pericolosa”.
    Per un individuo sottoposto a combinazioni di messaggi destabilizzanti, a comunicazioni che mettono in crisi la sua sicurezza esistenziale, con ingiunzioni contraddittorie e distruttive, il presente inaccettabile, impossibile, sconfina in un futuro contrario a tutte le aspettative. Tale convinzione può avere un riscontro reale, effettivo, in una situazione drammatica, oppure essere soltanto frutto di immaginazione, ma in ogni caso decisiva è la sensazione di essere in trappola, in una rete di relazioni che impongono inevitabilmente sconfitta, impotenza, disagio, nullità, paura, esasperazione, rabbia, assenza di futuro. Le interazioni con gli altri partner divengono allora esperienze sottili, difficili da gestire. In mezzo a un groviglio di messaggi incoerenti, di interventi destabilizzanti, nell’influenza di comunicazioni contraddittorie con un alto valore emotivo ed affettivo c’è da una parte il bisogno di trarsi fuori da tali relazioni, in quanto distruggono aspirazioni, desideri, possibilità, aspettative, progetti, dall’altra l’incapacità di sottrarsi a un campo di relazioni interpersonali che contemporaneamente garantisce sicurezza e annichilimento, continuità e malessere. La situazione viene segnata da un risentimento inespresso, da un’aggressività conflittuale, che non trovano la forza di esprimersi. Quanto più terrore si ha di soffocare, tanto più paura si ha di fuggire, si cerca la sicurezza in ciò che si odia, come chi pone la mano su una piastra bollente e invece di ritirarla ve la preme ancora più forte, come se quella fosse l’unica possibilità. La dipendenza ostile è il sottofondo di questa condizione esistenziale, la dipendenza permeata di ostilità; affetto e ostilità vengono continuamente combinati e distorti in un susseguirsi di comunicazioni ambigue e abnormi. C’è difficoltà a comprendere le intenzioni degli altri, ma anche le proprie intenzioni, si è feriti da una constatazione e valutazione dei sentimenti degli altri, ma anche svuotati dai propri sentimenti. Non si può decidere su di sé perché altri condizionano questa possibilità, ma allo stesso tempo non si sa decidere su di sé.           
    La psicoterapia, nelle situazioni più gravi e reiterate nel tempo, mira a spezzare questa catena, proponendo un modello relazionale diverso, basato su un legame non ambiguo, cercando di stimolare nel paziente la capacità di riflettere sulle proprie sensazioni istintive all’interno delle relazioni di doppio legame, e fortificando allo stesso tempo la capacità di riconoscere, esplicitare ed eventualmente rifiutare, i messaggi ambivalenti che ci vengono inviati dall’altro.

     

    Dr.ssa Laura Iozzo Medico Chirurgo

    Specialista in Psichiatria e Psicoterapia

    lauraiozzo@virgilio.it

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