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I tumori non possono essere lasciati al caso

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    Un paio di anni fa fece scalpore la dichiarazione di due ricercatori di Baltimora che dichiararono che la maggior parte dei tumori è dovuta al caso. Nacquero immediatamente polemiche legate, oltre che al contenuto scientifico di tali dichiarazione, anche al messaggio che poteva  essere recepito dalla popolazione spingendola al disimpegno dalla prevenzione dei tumori.

    E’ un classico esempio di come, nel campo della salute umana, l’evidenza scientifica necessita di un’adeguata opera di comunicazione: tale problema lo abbiamo di recente  affrontato nel caso dei rapporti tra le carni rosse ed il cancro.

    A distanza di un paio di anni i due ricercatori sono ritornati sull’argomento, confermando la tesi della casualità e precisando che intendesi per casualità gli errori che possono verificarsi quando una cellula si replica, e che, in una piccola parte di casi, possono portare al cancro.

    Più esattamente i due ricercatori hanno rilasciato questa dichiarazione “Le cellule umane sono in perenne rigenerazione. Il nostro corpo produce nuove cellule miliardi di volte durante la nostra vita. Ogni volta che una cellula si divide per crearne di nuove il suo DNA si copia e, in media, produce tre errori casuali. La maggior parte di questi errori sono innocui.  Tuttavia una piccolissima parte di essi avviene in un gene che darà il via ad una replicazione incontrollabile di cellule, portando al cancro. Pertanto, la grandissima parte delle mutazioni che avvengono nella divisione delle cellule non provoca danni. Solo talvolta, ed occasionalmente, una mutazione in un gene cancerogeno conduce ad una malattia”.

    In base ai dati presentati si può stimare che, in media, il 66 per cento delle mutazioni cancerogene sono determinate da errori di replicazione, il 29% si può attribuire all’ambiente o stile di vita e un 5% all’ereditarietà. In realtà altri studi effettuati in passato sono pervenuti a conclusioni non troppo diverse. Perché, quindi, tanto clamore? Perché nel caso di specie si è data enfasi, dal punto di vista comunicativo,  alla casualità quale maggiore determinante del cancro, offrendo all’opinione pubblica una prospettiva fatalista nell’approccio alla malattia. Nel mentre sarebbe stato giusto enfatizzare che comunque un terzo dei casi (e non sono certo pochi!) sono prevenibili in termini di intervento sull’ambiente e sugli stili di vita, ovvero appannaggio della cosiddetta prevenzione primaria che agisce prima che la malattia si sviluppi.

    Dobbiamo invece arrenderci rispetto ai due terzi di casi legati alla casualità? Dobbiamo ritenere che la prevenzione, in tal caso, abbia le armi spuntate? Certamente no. Tale ricerca, unitamente ad altri dati disponibile, nel confermare l’importanza della prevenzione primaria, ci induce ad attenzionare un’altra forma di prevenzione ovvero quella secondaria, legata alla possibilità di diagnosticare precocemente una malattia. Risulta, pertanto essenziale promuovere la cultura dello screening anche attraverso mezzi diagnostici innovativi che permettano prenderci la “rivincita” su quelle malattie dovute al caso attraverso una diagnosi anticipata che consenta interventi quando la malattia, in fase iniziale, è ancora trattabile dal punto di vista terapeutico.

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