Le rubriche di Catanzaro Informa - Riceviamo e pubblichiamo

Il coraggio di essere insegnanti

Lettera aperta agli insegnanti di mio figlio

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    Ricordo ancora, come fosse oggi, dopo 30 anni di professione, il mio primo giorno di scuola da insegnante. La vicepreside mi accompagna in quella che sarebbe stata la “mia” classe e, chiudendo la porta alle mie spalle, mi augura “buon lavoro”. Il panico! E ora?  Come affrontare quella classe di scalmanati poco più piccoli di me? Qual è il mio compito? E soprattutto: da dove iniziare? Non avevo soluzioni se non partire dalla mia ultima esperienza in una scuola e cioè dal mio ultimo giorno di scuola da alunna. Partire da lì per capire dove un professore può sbagliare, cosa mi è mancato come alunna e cosa avrei voluto che mi trasmettessero i miei prof . E lì mi sono resa conto che ripescavo dalla mia mente solo i nomi di quegli insegnanti che avevano lasciato un segno positivo nella mia crescita personale, mentre di altri ricordavo la materia insegnata e non il nome, quasi fossero figure marginali nella loro funzione di educatori. E ho scelto di farmi ricordare “per nome” e non “per materia”.

    Oggi sono madre di ragazzi adolescenti che vivono lo stress di un periodo emergenziale che li segnerà per la vita e oggi, più che mai, vorrei che la scuola diventasse un supporto valido per la loro crescita e così non sarà fin quando la scuola non si adeguerà ai tempi correnti. Si discute di attività sincrone e asincrone, di offerta formativa, di minuti di lezione trascurando di considerare l’obiettivo finale: la crescita e la stabilità dei ragazzi. Vero che la scuola ha il compito di dare un’”offerta formativa” ai ragazzi, ma vero è anche che la scuola è innanzitutto un’ “agenzia formativa” nella accezione più ampia del termine. Poco serve l’offerta se si limita ad essere “informativa” e non “formativa”: diventerà per i ragazzi un antico ricordo di “materie” e non di “nomi”!

    La didattica integrata a distanza è una sfida per noi docenti, un lavoro immane per cercare di rendere “formativo” quel che si riduce ad un mero accumulo di “ informazioni” e l’idea di lavorare in modo asincrono spaventa i docenti ma sicuramente agevola gli studenti in un periodo  destabilizzante come questo. Siamo in emergenza e non è necessario alcun atto, decreto, regolamento per averne contezza. Gli insegnanti si confrontano con ragazzi annoiati, assonnati, apatici, tristi e fanno di tutto per risollevarli, interessarli, coinvolgerli ma per i nostri alunni è come affrontare ogni giorno un lungo viaggio in treno. Seduti lì, al loro posto, con lo sguardo perso verso l’esterno, aspettano il professore-controllore che controlli la regolarità del viaggio. Ogni ora di lezione è una fermata diversa ma banchine tutte uguali, scenari immobili….cambia solo la dicitura del cartello “matematica”, “italiano”, scienze”. E questo ogni giorno

    Avete mai fatto un viaggio in treno? Il senso di liberazione di un peso all’arrivo? Lo stato di insofferenza, immobilità,noia che lo ha accompagnato? Bene, ogni giorno i nostri alunni percorrono quel viaggio che di formativo non ha nulla se non è accompagnato da un adeguato supporto sociale e di condivisione. E le attività asincrone possono aiutare alla socializzazione, possono ridurre i tempi del viaggio: un’attività asincrona  è un modo non solo per imparare ma per scambiare battute, pettegolezzi, risate, gioia di vivere e stare insieme.

    Per fare questo ci vuole coraggio! Bisogna rimettersi in gioco, trovare le strategie adatte, reinventare ogni giorno la didattica. Noi prof siamo eroi nascosti perché produciamo qualcosa che non si vede nell’immediato: produciamo cultura e formazione e per questo abbiamo il dovere di essere ricordati per “nome” e non per “materia”. Un grazie da parte mia va a tutte le scuole che hanno saputo mettersi in gioco e che continueranno a farlo pur di dare ai nostri figli, prigionieri senza aver compiuto alcun reato, un anelito di libertà virtuale e la visione di un orizzonte più sereno e luminoso.

    La mamma di un alunno del liceo Siciliani

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