Le rubriche di Catanzaro Informa - Riflessioni allo specchio

Le nuovi migrazioni della necessità

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    Ci ha pensato l’ultimo rapporto Svimez a metterlo nero su bianco: la Calabria è la regione più disagiata d’Italia.

    Le telecamere del primo canale nazionale lo hanno documentato proprio di recente  ma questo status non dovrebbe risultarci affatto nuovo, non dovremmo sentirlo per niente  estraneo.

     Eppure accade, quasi   come se il vissuto fosse meno attendibile di una legittimazione pubblica.

    Le persone intervistate avrebbero potuto essere i nostri padri o peggio i nostri nonni, avremmo potuto essere noi.

    La verità è che non bisogna più fare i conti solo con la tristemente famosa “Fuga di Cervelli,” ormai cronica in un paese il cui mercato del lavoro è paralizzato, ma con una vera e propria migrazione .

    A partire sono persino gli anziani, quelli nati e mai usciti fuori dai confini del proprio paesino, che oggi cercano un posto in cui la loro pensione basti.

    Non saranno barconi ma sono pur sempre autobus  colmi di disperazione, di gente che si sente di troppo a casa propria, una casa che non basta più.

    C’è chi dice poi di non aver neppure il denaro necessario per lasciare questa terra.

    Potremmo pensare a una circolarità temporale: non sono lontani i tempi in cui nelle città del nord campeggiavano cartelli con la scritta “ VIETATO L’INGRESSO AI CANI E AI TERRONI” nel tentativo di difendersi dall’ invasione straniera.

    A chi  invita alla tolleranza  gridando “ una volta gli immigrati eravamo noi” io rispondo che lo siamo ancora. La nostra condizione prescinde dall’arrivo  e lo stanziamento degli extracomunitari, sebbene sia spesso mal gestito e comporti delle conseguenze.

     Il nostro essere i nuovi poveri, i nuovi immigrati, quelli che fanno la fila alle mense e al banco alimentare, dipende dalla SATURAZIONE.

    Paghiamo le conseguenze di cattive amministrazioni ed errate politiche, non dell’immigrazione, piaga relativamente nuova in un territorio che potrebbe garantire a molti il diritto di restare, che potrebbe ospitare tanti esseri umani, (perché in fondo è di questo che si tratta), se solo fosse valorizzata ogni sua risorsa.

    Invece il tuo paesino, quello piccolo a metà strada tra mare e montagna, avvelenato dalle stesse mani che avrebbero dovuto prendersene cura, ti dice che è il momento di andare.

    Se solo fosse, avrebbero dovuto : il futuro, soprattutto quello prossimo, rifiuta  il condizionale.

    Vuole invece la condizione: quella del vivere dignitosamente, serenamente.

    Anche partire è un’ incognita che però  vale la pena svelare pur di poter dire” a domani”

    C’è chi dice che ci  vuole più coraggio a restare che ad andar via .

    Ma è la terra stessa che ci chiede di partire, lei che ci ama più di quanto  sappiamo fare noi.

    Poi magari torneremo ma intanto DOBBIAMO partire anche per il suo bene,perché il suo bene siamo noi.

     

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