La frontiera che (non) vorrei

Volti.

Storie.

Storie cucite sui volti.

Lontano da ogni eco di buonismo.

Lontano dalla volontà di lasciare libero spazio a chiunque, senza regole e paletti.

Racconto solo ciò che vedo o meglio, sento.

Sento che la clessidra si è capovolta, che tutti gli sforzi di eguaglianza e libertà vanno vanificandosi a causa dell’incapacità di regolare un fenomeno, che ancor prima di essere politico è umano.

La storia insegna dicono ma solo a chi la sa leggere, rispondo.

Solo chi sa leggere gli occhi della gente può non ripetere gli orrori del passato.

Per chi li sa leggere, gli occhi che si ammassano alle frontiere moderne non sono poi così diversi da quelli che prendevano a picconate un muro di una città che doveva essere l’ultima a conoscere la divisione ed invece pare essere stata la prima a distanza di anni.

Cosa abbiamo imparato allora?

A barricarci dietro la pseudo- tolleranza dell’altro, fino a quando non si tratta di doverlo ospitare nel proprio mondo.

Ad anteporre l’ordine sociale ad un ordine di valori, quegli stessi valori che tramite misure adeguate dovrebbero solo trovare la giusta collocazione anziché esserne annientatati.

Perché la nostra non può certo essere la casa di tutti ma dovrebbe poter diventare la “porta” per mezzo della quale ciascuno possa raggiungere quanto di più simile esiste ad un luogo sicuro, degno di essere definito tale.

 E se qualcosa deve porsi a tutela della società non può essere una frontiera.

La frontiera non protegge, la frontiera distrugge il briciolo di democrazia a cui ancora possiamo aggrapparci.

Perché la società è fatta di uomini e gli uomini sono storie che camminano su gambe diverse ma hanno la stessa fame di vita di chi prima di loro ha percorso la medesima strada con gli occhi pieni di disperata voglia di arrivare dall’altra parte per vedere cosa esiste di migliore.

Di bello.