Enzo Esposito, un artista sul ring del Marca

Un “Corpo a corpo” pittorico coinvolgente tra opere di grandi dimensioni e forte impatto visivo ed emozionale

“Non bisogna mai prendere troppo sul serio quel che dicono gli artisti”. A sostenerlo, in coda al suo breve intervento all’inaugurazione, è l’artista che espone al Marca da oggi fino a 20 novembre. Per cui, prendendolo in parola, potremmo adeguarci. Ma, ovviamente, non lo facciamo. Anche perché Enzo Esposito, in ciò applaudito dal pubblico non pagante, somiglia terribilmente nelle fattezze, non solo facciali ma anche corporee, a un antico professore di filosofia del liceo Galluppi che incuteva riverenziale timore per come parlava e per come non guardava. Campano di nascita, come si potrebbe intuire da nome e cognome, e cresciuto artisticamente a Milano, Esposito ha ormai una lunga carriera alle spalle, il che equivale, artisticamente, a un grande futuro. L’arte come si sa non solo si nutre di presente ma previene ciò che verrà dopo, tanto che ancora non si è definitivamente sciolto il dilemma su quale delle due, arte o realtà, preceda e segua. Se mai l’ordine cronologico delle cose abbia anche una sua successione logica. Da quel che hanno detto sia Rocco Guglielmo, il patron del Marca, sia Francesco Tedeschi, il curatore e anche l’autore del catalogo-monstre edito da Giampaolo Prearo presente con le sue non minimaliste scarpe, è in fondo questo il criterio che sottende l’esposizione al Marca, fatta di una ventina di opere di grandi dimensioni che non seguono un ordine cronologico, bensì sistemate in blocchi che costringono il visitatore a un percorso a zig zag nel tempo a zig zag, prima gli anni Ottanta, poi il nuovo secolo, a seguire i Settanta (fine), per poi risalire la corrente e immergersi di nuovo nell’attualità.

Innanzitutto colpiscono le dimensioni: di sicuro non sono opere adatte a un comune salotto, anche di quelli generosi che si vedono solo nei cataloghi dei costruttori brianzoli del mobile: per esempio, entrando nella mostra, al primo piano del Marca, si viene investiti da un “Senza titolo” del 1987 di 285 centimetri per 560. In sovrappiù, il colore adoperato in abbondanza su tela in tecnica mista è irruento, tanto da fare risaltare ancora di più il rapido uso del nero che lascia intravedere una figura o meglio una semi figura, elemento costante per Espostito perlomeno dagli Ottanta in poi, quando il rapido abbandono della primitiva enfasi concettuale lo ha portato a seguire l’evoluzione della ricerca di un nuovo pittorico, recuperando spazialità e ambiente, corpo e gestualità. È proprio un “Corpo a corpo” tra artista e fruitore il senso non troppo nascosto dell’esposizione che d’altra parte permea e titola la monografia di Tedeschi che l’accompagna e in un certo senso la completa, offrendo al visitatore una guida sicura per inoltrarsi nella selva d’arte di Esposito, sicuri di non smarrirsi. Anche perché la sua opera non è per niente oscura. Anzi, come nel grandioso ovale del 2006 rigorosamente “Senza titolo”, l’estesa campitura in blu elettrico comunica sensazioni rassicuranti, anche offrendo allo sguardo una comoda via d’uscita, una smarginatura radente all’opera che la fissa tangenzialmente all’ambiente espositivo.