L’addio al calcio di Claudio Ranieri: il suo un cammino che suscita suggestioni letterarie

il pensiero dello scrittore e docente universitario Isidoro Pennisi sul ritiro dell'allenatore

di Isidoro Pennisi*

Se po’ fa’

“Ora che non ci sei è il vuoto a ogni gradino” Il ritiro dalle attività del Calcio di Claudio Ranieri si potrebbe sintetizzare in questa maniera, utilizzando le parole di un Ligure come Montale.
La sua carriera, invece, lunga ma non diretta e semplice, non facilitata da condizioni di partenza favorevoli, non aiutata da scelte banali e convenienti, si può sintetizzare attraverso un noto proverbio calabrese: ‘a via longa nun rumpe lu carru (la via lunga non rompe il carro). La via lunga è la più breve, per chi ha nell’anima il desiderio e l’appuntamento con una grande impresa.

Aver vissuto una parte importante della gioventù in Calabria, giocando prima a Catanzaro e poi allenando la sua prima squadra da professionista a Lamezia Terme, deve avere in qualche maniera inciso su un’anima romana che nella sua lunga storia ha coltivato una passione impastata, però, con la disillusione. Claudio Ranieri, nei dieci anni passati stabilmente tra lo Jonio e il Tirreno, lungo quell’Istmo Magno Greco dove nell’arco di una giornata è possibile vedere sia il sorgere del sole come il suo andare a dormire, deve aver capito che le grandi imprese hanno bisogno di tempo. Quella geologia particolare dell’Istmo di Catanzaro, che permette anche a piedi o comunque con mezzi non moderni, di potersi alzare la mattina sullo Jonio e dormire la sera sul Tirreno, ci ha messo milioni di anni per diventare ciò che è: un’impresa della Geologia, unica nel suo genere e non ripetibile.

La storia calcistica di Claudio Ranieri è costellata da eventi che o sono o somigliano molto a delle grandi imprese cui si partecipa o per destino oppure perché si è capaci di dire eccomi anche di fronte a situazioni che non prevedono facili speranze. “Uno psicologo nato, che da ognuno di noi sapeva tirare fuori le motivazioni che vengono direttamente dal cuore. È lì che si marca la differenza: nei momenti di difficoltà. È quando sei distrutto che si capisce davvero cosa potrai dare. A Ranieri avremmo dato la vita”. Inutile fare l’elenco delle squadre dove ha giocato o di quelle che ha allenato. Anche nel caso di quelle importanti, come Valencia, Atletico Madrid, Inter, Juventus, Napoli, Chelsea, Fiorentina e Roma, o non era quello il momento più semplice per quelle squadre, oppure ancora non erano ciò che oggi sono. Per non parlare di Cagliari e Parma, salvate da un destino che era (e non sembrava) già segnato.

Ranieri incarna le suggestioni letterarie di Camus e Borges che indicano nel compiere delle grandi imprese il motivo per cui nasciamo. Non importa quale sia il nostro punto di partenza: possiamo farcela. A Leicester, in Inghilterra, elabora il capolavoro assoluto e forse mai più raggiungibile da nessuno. Nel 2016, nel profondo dell’Inghilterra, prende in mano una squadra costata 26 milioni di sterline e s’impone su quelle costate centinaia di milioni di sterline. Strapazza Arabi, Americani, Russi, la loro protervia, i loro Fondi Sovrani e quelli d’Investimento, spiegando con chiarezza che i soldi possono comprare tutto ma non un sogno, non una favola scritta bene, non la dignità e non l’onore. Quando il Leicester, da lui allenato, viene a Roma a giocare la semifinale di Conference League, nella la sua città, dove gioca comunque la sua squadra del cuore, e dove vivono comunque i suoi simili, l’applauso congiunto da lui ricevuto dalle due tifoserie verrà ricordato e cantato per generazioni, dando un motivo in più per amare con passione questo gioco del calcio.

Ranieri non è stato, non è e non sarà mai il solo, a riaffermare che in qualsiasi ambito della vita, e nonostante essa (che non facilita niente, soprattutto a chi non ha nulla) il credere possibile qualche cosa è la condizione per tornare ad avere fiducia nella vita stessa. Lo sport, il calcio, ha nell’agonismo il cuore della sua utilità. Quell’agonismo, quello spirito dell’Agon, che serve in ogni momento saliente della vita umana, personale e collettiva. Quella cosa strana, che spinge qualcuno a correre da Maratona ad Atene, solo per annunciare una vittoria sul nemico e la salvezza della propria città. Ranieri forse è un po’ Calabrese d’adozione, e da questa Terra ha estratto la coscienza del tempo, delle attese, necessarie per realizzare le grandi imprese, ma rimane romano per quella sfacciata e sfrontata capacità di rispondere alle chiamate della vita con la frase migliore di quel dialetto antico: se po’ fa’. Pare che il Catanzaro Sabato abbia un importante appuntamento con la sua storia calcistica, e se io fossi uno di loro, uno di quei tifosi che sicuramente andranno in trasferta per custodire e spingere quel loro sogno, griderei esattamente questo: Se po’ fa’. Claudio Ranieri, comunque vada, ne sarà contento, e sarà un modo per onorare il suo addio al calcio.

*Docente universitario e scrittore