“Falcone ucciso perché solo, perseguitato e degradato” foto

Le riflessioni dell’ex ministro socialista Claudio Martelli alla presentazione delle sue memorie alla camera di Commercio di Catanzaro

C’è stato un momento, nel corso della presentazione del libro “Vita e persecuzione di Giovanni Falcone” nella sala conferenze della Camera di commercio di Catanzaro, in cui è venuto fuori il passato accademico dell’autore, in gioventù assistente di filosofia alla Statale di Milano È stato quando Claudio Martelli, ex ministro della Giustizia in due governi tra il 1991 e il 1993, ha citato la sua antica lettura di John Dewey, novecentesco filosofo statunitense, e del suo ‘Logica: Teoria dell’indagine’, in cui il fautore del pragmatismo sosteneva che l’indagine sta all’uomo moderno come la caccia stava all’uomo primitivo. Si tratta comunque di seguire traccia.

Generico novembre 2022

 

Era per dare un senso alle novità investigative applicate da Giovanni Falcone – ‘Follow the money’ ma anche altro – nel suo ufficio di Giudice istruttore alla procura di Palermo e per capire la levata di scudi –pallido eufemismo – che avrebbero suscitato in gran parte della magistratura siciliana e italiana nei suoi confronti, tanto da giustificare in pieno il titolo che l’attuale direttore dell’Avanti ha voluto dare alle sue memorie da ministro. Chi furono i ‘persecutori’ di Giovanni Falcone? Certamente i mafiosi che posero fine alla vita sua e dei suoi allo svincolo di Capaci, ma anche tutti coloro che perseguirono, riuscendoci, la strategia di delegittimarlo, ‘degradarlo’ – dice proprio così Martelli – isolarlo. In primo luogo i tanti suoi colleghi magistrati – afferma a chiare lettere Martelli – che non potevano non sapere che delegittimare Falcone e isolarlo lo avrebbe fatalmente esposto alla vendetta mafiosa che infatti è arrivata appena è stato possibile. Non ha le prove di ciò, Martelli, ma, scomodando per l’occasione Agata Christie a un livello di citazione meno elevato ma sempre calcante, può mettere insieme tre indizi, forse anche quattro: un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi fanno una prova. Primo indizio: la bocciatura (1988) da parte del Csm della sua aspirazione di guidare l’Ufficio istruzione di Palermo dopo la parentesi di Antonino Caponnetto succeduto a Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia dopo la creazione del Pool antimafia. Secondo indizio: l’avergli preferito un magistrato di lui più anziano. Antonino Meli divenne il nuovo consigliere istruttore di Palermo.

 

Con una votazione contrastata,14 voti a favore, 10 contrari e 5 astenuti, Antonino Meli divenne il nuovo consigliere istruttore di Palermo. Martelli racconta le cose con il tono distaccato di chi è stato testimone di fatti ormai storicizzati che hanno insieme concorso a determinare il corso degli eventi successivi in cui egli stesso si è fatto protagonista, nel chiamare Falcone a dirigere l’Ufficio Affari penali al ministero. Non è vero che Meli fosse digiuno di mafia: ma certo interpretava il ruolo in modo diverso da Falcone. Per esempio, era stato giudice al processo per l’uccisone di Rocco Chinnici. Il pm Patané che sostenne l’accusa ebbe molti motivi di battibeccare con lui nelle udienze, e alla fine ebbe a dire che la sentenza era stata scritta in modo da dissolvere le tesi di colpevolezza degli imputati in Cassazione. Cosa che avvenne. Secondo indizio: la bocciatura della sua candidatura al Csm il 1990.

 

Un esito impietoso per Falcone: su una platea di 8000 votanti incamerò solo 55 voti. Terzo indizio: l’anno successivo fu convocato a Palazzo dei Marescialli per rispondere all’esposto di Leoluca Orlando, leader della rete, che praticamente lo accusava di insabbiare a suo piacimento filoni consistenti di indagini. Martelli non ha la presunzione di arrivare per primo, nel libro, a queste e ad altre rivelazioni, ormai storicizzate: ciò di cui si è reso artefice è avere collegato tra loro tutti i fatti. E che lo hanno aiutato a decifrare una frase famosa di Paolo Borsellino, quando, dopo la strage di Capaci, ebbe a dire che Falcone aveva cominciato a morire già nel 1988: “non si muore per una bocciatura – dice oggi l’ex ministro -. Certo non uno come Falcone”. Martelli aveva proprio in quegli anni conosciuto Falcone, in occasione della sua candidatura alle politiche nella circoscrizione siciliana. Conosceva poco della mafia, se non quello che può sapere un giovane politico lombardo, sia pure attento osservatore dei fenomeni sociali del Paese.

 

In un colloquio nell’ufficio bunker della Procura palermitana, Falcone spiegò a Martelli la mafia, il suo potere imperniato sulla paura, la sua potenza economica e la sua estensione internazionale. Quando nel 1991 Martelli divenne ministro, prima con il governo Andreotti e poi con il governo Amato, chiamò a Roma Falcone, perché lo aiutasse ad applicare a livello nazionale la sua esperienza a Palermo che tanti frutti aveva dato. Vedi la celebrazione del maxi processo. Risultati della collaborazione furono la Direzione antimafia (Dna), la Direzione investigativa antimafia (Dia), la Direzione distrettuale antimafia (Dda) e l’approvazione dell’art.46 bis del Codice penale (isolamento duro in carcere per i mafiosi).

Giovanni Falcone “uomo di grande coraggio e serietà, la cui autorevolezza si percepiva anche nel modo pacato di parlare di chi sa che non deve alzare la voce per essere sentito”, lo ricorda Claudio Martelli che, pur avendo fatto da quegli anni tante altre cose – dopo averne fatte tante prima – è spesso ritornato con la mente ai suoi rapporti con il magistrato. “No, non c’è un delfino di Falcone tra i magistrati – ha detto fuggevolmente ai giornalisti il direttore dell’Avanti cartaceo -. Così come Martelli non è stato il delfino di Craxi”. Così aprendo una finestra su un tutt’altro mondo.

Alla presentazione ha presenziato un folto pubblico: molti socialisti, ma non solo. Hanno dialogato con Claudio Martelli gli Amici dell’Avanti: Michele Drosi, Giuseppe Franzé, Fernando Rocca e Ugo Gardini.