Vent’anni esatti dalla tragedia del camping Le Giare tra dolore che si rinnova e rimpianto

E’ il 10 settembre 2000 un fiume di fango travolge un campeggio uccidendo tredici persone. Una strage e un dolore che una generazione intera sente propria, anche chi non fu direttamente coinvolto

Le auto accatastate in un’area completamente allagata, le gru in azione, i volontari e i vigili del fuoco al lavoro nel fango alla disperata ricerca di segnali di sopravvivenza, quella roulotte isolata ad alcune decine di metri da loro, trascinata da chissà dove, la pioggia che scende copiosa una sinistra costante anche nelle ore e nei giorni successivi alla tragedia. Chiudendo gli occhi, ricordando le immagini televisive della strage di Soverato, dell’alluvione che spazzò via tredici vite e tanta vita, a molti saranno tornati in mente questi particolari emersi dal proprio personalissimo database cerebrale dove sono archiviati ricordi intensi che però con il tempo si prova a dimenticare.

Oggi sono venti anni dalla tragedia del Camping Le Giare. Due decenni già trascorsi: era il 10 settembre 2000. Fa quasi impressione pensare che molti dei giovani che quest’anno hanno vissuto la loro estate più o meno spensierata a poche centinaia di metri o a pochi chilometri da quel luogo non erano nemmeno nati allora, che non abbiano vissuto quei giorni che per tutti, anche per chi non è stato coinvolto personalmente,  hanno avuto l’effetto di un dirompente tsunami emotivo. Per Soverato, Catanzaro e tutto il Catanzarese un shock mediatico paragonabile a quello che sarebbe stato per tutto del mondo la tragedia delle Torri Gemelle un anno dopo.

I fatti li ricordano tutti, sicuramente li conoscono anche anche i millennians di cui sopra. Tre giorni di pioggia continua e persistente, il fiume Beltrame che tra le 4 e le  cinque di mattina del 10 settembre tracima, il fango che travolge decine di persone che sono  lì per il campeggio estivo dell’Unitalsi, avrebbero dovuto tornare a casa da lì a poche ore.

Le concitate ore successive sono riempite dalla disperata conta di chi c’è e di chi non ha risposto all’appello, dal grido di dolore di chi vorrebbe certezze sulla sorte dei propri parenti, amici, conoscenti che erano lì o almeno avrebbero dovuto esserci, dalle prime polemiche sul camping, su dove era situato, su come era attrezzato. Una tragedia di portata mediatica nazionale. Attorno tutto si ferma. Eventi annullati, feste patronali depennate e non solo per il maltempo che continua ad imperversare. Il lutto è grande, nessuno se la sente di pensare ad altro.

Un servizio del Tg Calabria del 10 settembre 2000, collegamento in diretta di Pino Nano

Il quadro diventa più chiaro via via che il tempo passa. Il fango restituisce al mondo nei due giorni successivi i corpi di Ida Fabiano, Serafina Fabiano, Mario Boccalone, Raffaele Gabriele, Paola Lanfranco, Iolanda Mancuso, Giuseppina Marsico, Franca Morelli, Rosario Russo, Antonio Sicilia, Salvatore Simone, Concetta Zinzi , dodici in tutto. Un tredicesimo, Vinicio Caliò a cui oggi è intitolata la piscina del quartiere Pontepiccolo. rimarrà disperso. La vicenda di questo giovane, tifoso del Catanzaro appassionato, molto conosciuto nei quartiere Nord di Catanzaro, sarà una tragedia nella tragedia. Lo cercheranno tutti per giorni, settimane, mesi.

Il video d’epoca dei Vigili del Fuoco

C’è chi spera che sia persino scampato all’apocalisse. Nessuno si rassegnerà per anni a non avere nemmeno una salma su cui piangerlo. Per anni ogni volta che un cadavere sarà ritrovato nello Jonio ci sarà sempre qualcuno che irrazionalmente dirà “Potrebbe essere Vinicio”.

La sua scomparsa, e soprattutto il suo non ritrovamento  resterà uno dei  simboli, forse il più significativo di una strage che lascerà cicatrici marcate anche nell’anima nei sopravvissuti, nei volontari che hanno soccorso, nei dispersi salvi per miracolo, in chi aveva visto con i propri occhi morire persone con cui aveva diviso sino a poche ore prima una esperienza gioiosa. Tre giorni dopo ai funerali al Duomo di Catanzaro in tutta la città e la provincia si sente il dolore come proprio, un lutto cittadino reale non solo burocraticamente disposto.

Ma in quella sede non solo dolore, anche rabbia per una tragedia che si poteva evitare Che ci faceva, da anni peraltro, quel camping a due passi da un fiume? No, la responsabilità di quel finomondo e soprattutto dei danni provocati non poteva essere solo di una perturbazione disgraziata .

Anche monsignor Antonio Cantisani arcivescovo di Catanzaro-Squillace che quei funerali li celebra ha parole dure. “Siamo certi che la magistratura farà piena luce, individuando eventuali responsabili del disastro di Soverato. Siamo anche certi che chi ne ha la responsabilità saprà approntare adeguati strumenti legislativi per la difesa del territorio. – dice durante l’omelia – Ma le leggi, e ce ne sono tante, vanno osservate e vanno applicate: seriamente e nei confronti di tutti. Non possiamo prendercela con la fatalità: è una offesa a Dio, che ci ha dato la libertà per costruire e non per distruggere”. Un affondo chiaro, non c’è che dire. E la magistratura della tragedia di Soverato si occuperà abbastanza negli anni a venire dopo la rabbia e la tensione di quel giorno al Duomo.

Un articolo del quotidiano Repubblica sui funerali. Era il 13 settembre 2000

Con tanto di contestazione ai politici presenti fra i quali i vicepresidenti della Camera, Petrini, del Senato, Rognoni, e i ministri Bianco e Loiero. L’unico accolto con affetto il presidente Carlo Azeglio Ciampi, che  incontrerà i parenti, porgerà le condoglianze di tutto il Paese e s’intratterrà davanti alle bare. Sì, quelle bare all’interno del Duomo. Altra immagine che emerge improvvisamente dal personale database. E che fa tornare il magone e il rimpianto.  Come il ricordo della pioggia, delle gru, delle auto, dei volontari e vigili del fuoco che cercano residui di vita nel fango.